GENNAIO
HADEWIJCH: MAESTRA SPIRITUALE
FEBBRAIO
LETTERE PER I COMPITI DELLA VITA
MARZO
LOUISE BOURGEOIS INSEGNA A SUA FIGLIA L'ORIGINE DEL SUO SAPERE
APRILE
CON I PROPRI OCCHI
MAGGIO
NELLE MANI DELLA SUA AMICA
GIUGNO
MARÍA DE MAEZTU E MARÍA LUZ MORALES
LUGLIO
MARÍA
LEJÁRRAGA E MARÍA LACRAMPE
AGOSTO
QUANDO LA DISPARITÀ DIVIENE CONFLITTO
SETTEMBRE
STRANA POLITICA
OTTOBRE
SENZA SMETTERE DI ASCOLTARE
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DICEMBRE
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ALLE EMILIE (E-MAIL)
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FEBBRAIO
LETTERE PER I COMPITI DELLA VITA
Alla fine del
XV secolo e per tutto il XVI, uomini di Chiesa e di Stato
promossero un progetto di riforma degli ordini religiosi femminili
fondato
sull'imposizione di un vecchio precetto, la clausura. Si volle imporre
infatti una stretta prassi del limite spaziale. Nei monasteri e conventi
di
donne si alzarono mura e si rimpicciolirono porte e finestre. Si
stabilirono criteri su chi e come poteva oltrepassare la soglia dello
spazio monastico, da dentro a fuori e da fuori a dentro, dato che,
salvo
ben precise eccezioni, le monache non potevano uscire dal monastero
e
ancor meno si doveva permettere l'entrata e la permanenza di secolari,
uomini o donne, nel recinto monastico. Si stabilirono norme anche
per i
tempi e gli spazi di scambio orale: i contatti verbali con persone
esterne
dovevano effettuarsi nel parlatorio, luogo nel quale la presenza di
terze
persone indicate a questo scopo rompeva l'intimità del dialogo.
Le mura
conventuali sembravano perdere permeabilità, si ostacolava
la dinamica che
per secoli aveva fatto dei monasteri di donne centri di cultura aperti
alla
società laica. Questa strategia era rafforzata da una proibizione
apparentemente minore relativa alle lettere, un veicolo di parola
che si
prestava a eludere tutti i controlli. Nella normativa di alcuni
riformatori, le monache non potevano riceverne né scriverne.
E' in questo orizzonte prescrittivo e nelle sue trasgressioni che
va
collocata la relazione epistolare della quale si fa qui un breve cenno,
avvenuta verso la metà del XVI secolo: la relazione tra Isabel
de Baena,
una monaca del convento di Santa Librada di Alcalá de Henares,
in cui
alcune sue contemporanee videro incarnate le qualità mediatrici
della
santità, e una donna dell'alta nobiltà, Isabel de Aragón.
La relazione tra queste due donne si svolse per via epistolare, attraverso
la parola scritta che entrambe dominavano. Negli ambienti domestici
femminili della casa dei duchi dell'Infantado di Guadalajara era ben
conosciuto il rapporto che la loro signora teneva con la monaca, sapevano
dei loro scambi di lettere a cui faceva da ponte Isabel Ortiz,
appositamente chiamata dalla duchessa per i casi della sua anima,
quando si vedeva nel bisogno pressante di ricevere il consiglio e
le preghiere della
religiosa. Dicevano che la signora chiedeva alla religiosa di "supplicare
Dio che infondesse nel cuore del duca di trattarla bene e che Dio
desse
buona morte e cose simili"; che ricorreva a lei "perché
il duca la
trattasse bene" e "le desse buona vita"; e che la signora
riceveva dalla
monaca molte "consolazioni".
Di questa corrispondenza ci sono rimasti solo due esempi, trascritti
nel processo istruito nel 1564 dall'Inquisizione contro Isabel Ortiz;
a una di esse appartiene questo frammento, che mostra la struttura
di scambio stabilitasi tra le due donne:
Illustre Signora.
La lettera di vostra signoria fu per me di grande consolazione per
il grande desiderio che avevo di sapere della sua salute, perché
la tengo in considerazione più della mia perché credo
che dia tanto vantaggio ai poveri e ai bisognosi; perché
so per certo che ci sono molto pochi che tengono nella memoria questo
che tanto vi raccomandò il nostro Dio, e poi l'elemosina
è di tale qualità che ci apre le porte del cielo e
ci presenta davanti alla sua maestà; signora della mia vita,
quel divino amore
infiammi il cuore di vostra signoria, occupi in tal modo da portare
con pazienza i compiti di questa vita. Io, mia signora, mi sento
debole e un po' nuda perché do in estate il vestito che indosso
in inverno a persone bisognose e questa elemosina si volge al seno
di vostra signoria, riceverò grazia se ordinerà di
mandarmi un poco di panno per vestirmi perché Dio rivesta
vostra signoria con la sua grazia. La sua indegna cappellana,
Ysabel de Baena [1].
Stimolate da bisogni
e urgenze concrete, le lettere avevano via via
annotato il quotidiano discorrere della vita. Quando gli inquisitori
mostrarono interesse a svelare i segreti di quella corrispondenza,
nulla
sembrava esser rimasto: le cameriere, guardiane di tutte le sue carte,
badarono che fossero bruciate alla morte della duchessa. Brani di
vita
svanirono col fuoco, senza possibilità di svelamento futuro.
Avrebbero
desiderato questo le autrici?
ÁNGELA MUNOZ
FERNÁNDEZ
[1] Nel mio Acciones
e intenciones de mujeres en la vida religiosa de los
siglos XV y XVI, Madrid, Horas y horas, 1995, pag. 197.
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