Donne e conoscenza storica
       


Calendario 2004
Plataforma Autónoma feminista

Presentazione delle curatrici

INTRODUZIONE
Libere anche nell'arte

Biografia di Marìa Zambrano

GENNAIO
I pericoli della pace

FEBBRAIO
La conoscenza

MARZO
Le radici della speranza

APRILE
Imparare a orecchio

MAGGIO
L'esilio

GIUGNO
La convivenza

LUGLIO
L'idolatria

AGOSTO
L'invidia

SETTEMBRE
La perplessità

OTTOBRE
L'infermità dell'epoca

NOVEMBRE
Successo e risentimento

DICEMBRE
La poesia è incontro

 

 

LIBERE, ANCHE NELL'ARTE


Artiste con vocazione/desiderio e volontà di guardare il mondo in modo proprio.
Donne che si concedono la libertà di camminare lungo la vita e l'arte.
Tutte queste formano una generazione e lo fanno aggiungendovi la loro
specialissima maniera di intendere l'esercizio della creazione artistica.
In questo tempo della libertà si trovano in coincidenza con Maria Zambrano e con lei molte condividono anche i rigori dell'esilio (non solo spagnolo) e la scommessa di percorrere la propria strada, quella che ciascuna di lorodecide da sé.

Tra gli elementi che accomunano le spagnole, vi è il lavoro precedente allo scoppio della Guerra Civile.
Quello che unisce tutte è il rilievo che hanno nel panorama artistico del
momento. Lo contrassegnarono con la loro presenza attiva nell'arte e la
decisione di agire come creatrici in un momento convulso della storia,
molte di loro mentre assistevano a ciò che allora sembrava essere la Grande Guerra, senza sapere che era solo l'inizio di ciò che come umanità avremmo dovuto contemplare (arduo compito nel quale ancora oggi ci troviamo).

Portiamo in questo calendario di dodici di loro, ma sono molte di più e
costituiscono la presenza importante e decisiva di donne che, oltre al
fatto che ad alcune la storiografia ha dedicato solo qualche riga nei
manuali, desiderarono fare arte, cercarono di vivere con e di questo
desiderio e percorsero la loro strada, scegliendo anche come camminare, con percorsi più o meno pubblici.
Di tutte loro il riflesso nella storia è irregolare e risponde, oltre che
alla loro genialità, alle casualità a cui siamo abituate riguardo alla
presenza o meno delle donne nella storia.


Alcune tracce

Quando a metà degli anni Ottanta Isabel Pons, incisora, esiliata in Svezia
e poi nel paese di cui prese la nazionalità, il Brasile, posava piede sulla
terra natia a settantaquattro anni, spiegava che prima di uscire dalla
Spagna, a poco più di vent'anni, aveva vissuto "di ciò che nessuno voleva
fare: dipingere visi di bambino". Per lei erano volti ideali, perché per
prendere mestiere le era servito da apertura e da misura suo figlio, di cui
aveva ripetuto mille volte i tratti. Vedova di un marinaio dell'esercito
repubblicano, le piace far notare che a trent'anni "già viveva della
pittura", il che per lei risultò difficile per il fatto di "essere donna e
essere bella", e le piace anche affermare "che la riuscita nell'arte si
raggiunge solo con il lavoro"; dice di non capire "i metri di tela con i
quali oggi si fa arte"; ricorre a un'espressione brasiliana per sostenere
il suo argomento, "tamaño no es documento" (la grandezza non è documento), e considera che con l'incisione rimane aperto l'orizzonte,
che tutto è da dire.

Questa tensione per la libertà nella creazione è il sostegno su cui costruire la propria arte. Norah Borges, in un'intervista al quotidiano argentino "La Nación", a novant'anni e solo sette anni prima di morire, confessò che durante tutta la sua vita aveva scritto poesia e aveva distrutto tutti i versi. La spiegazione: "C'erano già troppi poeti in famiglia". Lei, sorella e moglie di scrittori, era convinta che "la pittura era stata inventata per dare gioia al pittore e agli spettatori e che può dare gioia solo la
rappresentazione di un mondo perfetto, dove tutto è ordinato".
E nell'ordine, l'unico valido è quello determinato dalla decisione di ciascuna.

Forse per questo risuona il silenzio volontario di Ángeles Santos, "pioniera delle avanguardie" a detta dei critici, e artista che, con un'espressione sua raccolta dal quotidiano "El País", si sente più che surrealista, "pittrice dell'immaginazione". L'olio su tela che destò l'ammirazione del mondo lo dipinse a Valladolid ad appena diciotto anni e durante il periodo in cui accumulava lavori su lavori per rispondere alla sua autentica passione: dipingere, dipingere sempre.

In quella tensione si colloca anche Isabel Roldán, di cui Caballero Bonald afferma che non si può separare il "rigoroso lavoro artistico dalla
personale e ardente maniera di vivere". Anche su questo suo muoversi in
armonia, José Hierro spiega che "volge all'impressionismo dell'attualità, lo reinventava con pietruzze di colori".

Con l'attributo di sconosciuta al grande pubblico troviamo Roberta Gonzáles, l'unica donna che partecipò alla storica esposizione "Artisti spagnoli di Parigi", svoltasi a Praga nel 1946, e che, per il suo carattere intimista, si impegnò più ad appoggiare il lavoro degli artisti che la circondavano, suo padre, Julio Gonzáles, e suo marito, il pittore antifascista tedesco Hartung, che a consolidare il proprio.

A Manuela Ballester, come a tante altre donne spagnole, ha dedicato uno spazio biografico Antonina Rodrigo nel suo libro "Mujer y exilio" (Donna e esilio), recentemente riedito dalla casa editrice catalana Flor del Viento.
"Manolita - come Antonina ricorda che la chiamavano - dipingeva, illustrava
e scriveva e lo faceva con passione, con un linguaggio plastico,
ideologico, femminista e artistico personale, senza dubbio per il suo far
parte di una generazione a cui la Repubblica aveva insegnato la libertà e
la ribellione". Compagna del mitico Renau, con cui ebbe cinque figli e da
cui finì per separarsi, "mi piacque molto di lei che quando fu necessario
stette al passo del suo compagno, ma non perse mai il suo", dice Antonina.

Tra le indispensabili, Nuria Llimona che ancor oggi, quando le si dice che appartiene a una generazione singolare, aggiunge "alla nostra maniera".
Nell'affermazione è contenuta la sua preoccupazione attuale: "i miei dubbi
oggi sono sul più oltre, perché abbiamo paura della morte e bisogno di
sopravvivere". Sul mondo delle certezze, indica il più grande, "che devo
morire". Nel ricordo, un'affermazione chiara e precisa: "Vivevo solamente
per trionfare dipingendo e arrivare a Parigi". E lo fece, ricorda dove
visse e afferma che "allora era d'obbligo, di rigore: era il centro
artistico e innovatore".
Su questo era d'accordo Delhy Tejero, che lasciò testimonianza del suo soggiorno lì: "Una ragazza che era stata a Parigi, aveva bevuto tutto in fretta e, senza più tornarci, ogni tanto tira fuori qualcosa di ciò che ha vissuto e lo fa diventare attualità".
Oggi Nuria Llimona è convinta che "l'ordine è noia e non risulta creativo,
mentre il disordine ti permette di crescere". Afferma che è giunta a questa
scoperta con l'età e spiega: "a me l'ordine ha fatto molto male". Il fatto
è che l'epoca, la famiglia, la condizione di essere donna... condizionavano
la vita. Picasso, Goya e El Greco sono stati e sono i grandi riferimenti di
Llimona, una donna che realizzò il suo sogno, vivere della sua passione, la
pittura, questo sì, con piena coscienza: "A volte si ignora tutto quello
che si doveva combattere e come era necessario rispondere ai compratori che si mostravano insicuri perché, dicevano, le donne dipingono oggi e domani lasciano perdere". E lei è di quelle che non lasciarono perdere e con il suo talento e con successivi veicoli (un furgoncino, una due cavalli e
un'automobile più formale) tracciò le sue strade personali. Il fatto è che
lei lo aveva ben chiaro: "Sempre ho voluto guadagnare tempo per dipingere e proprio per avere libertà ho scelto la pittura".