LIBERE, ANCHE NELL'ARTE
Artiste con vocazione/desiderio e volontà
di guardare il mondo in modo proprio.
Donne che si concedono la libertà di camminare lungo la vita
e l'arte.
Tutte queste formano una generazione e lo fanno aggiungendovi la loro
specialissima maniera di intendere l'esercizio della creazione artistica.
In questo tempo della libertà si trovano in coincidenza con
Maria Zambrano e con lei molte condividono anche i rigori dell'esilio
(non solo spagnolo) e la scommessa di percorrere la propria strada,
quella che ciascuna di lorodecide da sé.
Tra
gli elementi che accomunano le spagnole, vi è il lavoro precedente
allo scoppio della Guerra Civile.
Quello che unisce tutte è il rilievo che hanno nel panorama
artistico del
momento. Lo contrassegnarono con la loro presenza attiva nell'arte
e la
decisione di agire come creatrici in un momento convulso della storia,
molte di loro mentre assistevano a ciò che allora sembrava
essere la Grande Guerra, senza sapere che era solo l'inizio di ciò
che come umanità avremmo dovuto contemplare (arduo compito
nel quale ancora oggi ci troviamo).
Portiamo in questo calendario di dodici di loro, ma sono molte di
più e
costituiscono la presenza importante e decisiva di donne che, oltre
al
fatto che ad alcune la storiografia ha dedicato solo qualche riga
nei
manuali, desiderarono fare arte, cercarono di vivere con e di questo
desiderio e percorsero la loro strada, scegliendo anche come camminare,
con percorsi più o meno pubblici.
Di tutte loro il riflesso nella storia è irregolare e risponde,
oltre che
alla loro genialità, alle casualità a cui siamo abituate
riguardo alla
presenza o meno delle donne nella storia.
Alcune tracce
Quando
a metà degli anni Ottanta Isabel Pons,
incisora, esiliata in Svezia
e poi nel paese di cui prese la nazionalità, il Brasile, posava
piede sulla
terra natia a settantaquattro anni, spiegava che prima di uscire dalla
Spagna, a poco più di vent'anni, aveva vissuto "di ciò
che nessuno voleva
fare: dipingere visi di bambino". Per lei erano volti ideali,
perché per
prendere mestiere le era servito da apertura e da misura suo figlio,
di cui
aveva ripetuto mille volte i tratti. Vedova di un marinaio dell'esercito
repubblicano, le piace far notare che a trent'anni "già
viveva della
pittura", il che per lei risultò difficile per il fatto
di "essere donna e
essere bella", e le piace anche affermare "che la riuscita
nell'arte si
raggiunge solo con il lavoro"; dice di non capire "i metri
di tela con i
quali oggi si fa arte"; ricorre a un'espressione brasiliana per
sostenere
il suo argomento, "tamaño no es documento"
(la grandezza non è documento), e considera che con l'incisione
rimane aperto l'orizzonte,
che tutto è da dire.
Questa tensione per la libertà nella creazione è il
sostegno su cui costruire la propria arte. Norah
Borges, in un'intervista al quotidiano argentino "La
Nación", a novant'anni e solo sette anni prima di
morire, confessò che durante tutta la sua vita aveva scritto
poesia e aveva distrutto tutti i versi. La spiegazione: "C'erano
già troppi poeti in famiglia". Lei, sorella e moglie di
scrittori, era convinta che "la pittura era stata inventata per
dare gioia al pittore e agli spettatori e che può dare gioia
solo la
rappresentazione di un mondo perfetto, dove tutto è ordinato".
E nell'ordine, l'unico valido è quello determinato dalla decisione
di ciascuna.
Forse per questo risuona il silenzio volontario di Ángeles
Santos, "pioniera delle avanguardie" a detta dei
critici, e artista che, con un'espressione sua raccolta dal quotidiano
"El País", si sente più che surrealista,
"pittrice dell'immaginazione". L'olio su tela che destò
l'ammirazione del mondo lo dipinse a Valladolid ad appena diciotto
anni e durante il periodo in cui accumulava lavori su lavori per rispondere
alla sua autentica passione: dipingere, dipingere sempre.
In quella tensione si colloca anche Isabel
Roldán, di cui Caballero Bonald afferma che non si
può separare il "rigoroso lavoro artistico dalla
personale e ardente maniera di vivere". Anche su questo suo muoversi
in
armonia, José Hierro spiega che "volge all'impressionismo
dell'attualità, lo reinventava con pietruzze di colori".
Con l'attributo di sconosciuta al grande pubblico troviamo Roberta
Gonzáles, l'unica donna che partecipò alla storica
esposizione "Artisti spagnoli di Parigi", svoltasi a Praga
nel 1946, e che, per il suo carattere intimista, si impegnò
più ad appoggiare il lavoro degli artisti che la circondavano,
suo padre, Julio Gonzáles, e suo marito, il pittore antifascista
tedesco Hartung, che a consolidare il proprio.
A Manuela Ballester, come a tante
altre donne spagnole, ha dedicato uno spazio biografico Antonina Rodrigo
nel suo libro "Mujer y exilio" (Donna e esilio),
recentemente riedito dalla casa editrice catalana Flor del Viento.
"Manolita - come Antonina ricorda che la chiamavano - dipingeva,
illustrava
e scriveva e lo faceva con passione, con un linguaggio plastico,
ideologico, femminista e artistico personale, senza dubbio per il
suo far
parte di una generazione a cui la Repubblica aveva insegnato la libertà
e
la ribellione". Compagna del mitico Renau, con cui ebbe cinque
figli e da
cui finì per separarsi, "mi piacque molto di lei che quando
fu necessario
stette al passo del suo compagno, ma non perse mai il suo", dice
Antonina.
Tra le indispensabili, Nuria Llimona
che ancor oggi, quando le si dice che appartiene a una generazione
singolare, aggiunge "alla nostra maniera".
Nell'affermazione è contenuta la sua preoccupazione attuale:
"i miei dubbi
oggi sono sul più oltre, perché abbiamo paura della
morte e bisogno di
sopravvivere". Sul mondo delle certezze, indica il più
grande, "che devo
morire". Nel ricordo, un'affermazione chiara e precisa: "Vivevo
solamente
per trionfare dipingendo e arrivare a Parigi". E lo fece, ricorda
dove
visse e afferma che "allora era d'obbligo, di rigore: era il
centro
artistico e innovatore".
Su questo era d'accordo Delhy Tejero,
che lasciò testimonianza del suo soggiorno lì: "Una
ragazza che era stata a Parigi, aveva bevuto tutto in fretta e, senza
più tornarci, ogni tanto tira fuori qualcosa di ciò
che ha vissuto e lo fa diventare attualità".
Oggi Nuria Llimona è convinta che "l'ordine è noia
e non risulta creativo,
mentre il disordine ti permette di crescere". Afferma che è
giunta a questa
scoperta con l'età e spiega: "a me l'ordine ha fatto molto
male". Il fatto
è che l'epoca, la famiglia, la condizione di essere donna...
condizionavano
la vita. Picasso, Goya e El Greco sono stati e sono i grandi riferimenti
di
Llimona, una donna che realizzò il suo sogno, vivere della
sua passione, la
pittura, questo sì, con piena coscienza: "A volte si ignora
tutto quello
che si doveva combattere e come era necessario rispondere ai compratori
che si mostravano insicuri perché, dicevano, le donne dipingono
oggi e domani lasciano perdere". E lei è di quelle che
non lasciarono perdere e con il suo talento e con successivi veicoli
(un furgoncino, una due cavalli e
un'automobile più formale) tracciò le sue strade personali.
Il fatto è che
lei lo aveva ben chiaro: "Sempre ho voluto guadagnare tempo per
dipingere e proprio per avere libertà ho scelto la pittura".