Presentazione
delle curatrici
INTRODUZIONE
Libere anche nell'arte
Biografia
di Marìa Zambrano
GENNAIO
I pericoli della pace
FEBBRAIO
La conoscenza
MARZO
Le radici della speranza
APRILE
Imparare
a orecchio
MAGGIO
L'esilio
GIUGNO
La convivenza
LUGLIO
L'idolatria
AGOSTO
L'invidia
SETTEMBRE
La
perplessità
OTTOBRE
L'infermità dell'epoca
NOVEMBRE
Successo e risentimento
DICEMBRE
La poesia è incontro
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MARZO
LE
RADICI DELLA SPERANZA
Le
radici della speranza, o meglio la terra in cui tali radici fanno
il nido e si nutrono, è quanto vorremmo considerare. [
]
In certi casi, la speranza si presenta separata, come galleggiando
al di sopra di ogni avvenimento, al di sopra di ogni essere concreto,
essa sola visibile, la speranza e nient'altro. Sfugge, allora, a ogni
ragionamento, a ogni argomentare più o meno dialettico: non
si nutre, si direbbe, di nulla, e può sostenere la vita di
chi così la sente, e sottrarsi - essa che tanto ha a che veder
col tempo - al suo passare, e affondare il tempo stesso - per questa
persona che la sente - in una specie di sovratemporalità di
istante unico: un punto solo che possiede la capacità di albergare
nella sua inestensione l'estensione di tutto il tempo nel suo fluire
indefinito. [
]
Nella vita storica, questa forma di speranza pura, separata, lasciata
a se stessa o consegnata all'immensità, si produce a volte
per lunghissimo tempo in popoli o razze oppresse, e più che
oppresse abbandonate a se stesse. Ci siamo preoccupati molto, in generale,
noi civilizzati di quest'occidente, di questi popoli che in altre
latitudini hanno vissuto per secoli in quest'abbandono? Di più:
quando ce ne siamo ricordati, è stato per altro che per sottometterli,
fino alla schiavitù se lo si giudicava necessario?
Popoli, razze intere in stato di tribolazione, di fame, di umiliazione
popolano il pianeta minacciati - secondo le statistiche degli organismi
competenti - di essere spazzati via dalla miseria, continuano a vivere
lì, sul nostro stesso pianeta. E se hanno resistito e resistono
dev'essere, necessariamente, in virtù della forza sovrumana
- la parola viene da sola - di questa speranza che li mantiene sospesi
al di sopra del tempo, al di sopra della vita, generazione dopo generazione,
mentre nell'occidente civilizzato il crescente benessere - sempre
alquanto limitato - coesiste con l'angoscia, con la disoccupazione
dell'anima e della mente, con lo sport intellettuale della disperazione
estetizzante e letteraria, con quell'uso dell'intelligenza che pretende
di governare la realtà senza tenersi in contatto con essa;
con la fragilità dinnanzi alla sofferenza, con lo stupore provocato
dalla constatazione che la felicità non è un frutto
che si raccolga da sé, che c'è bisogno di produrla ,
sostenerla, crearla e, cosa ancora più difficile, di saperla
ricevere e raccogliere quando arriva.
Marìa
Zambrano, I beati, trad. di Carlo Ferrucci, Feltrinelli, Milano,1992,
p. 103-105
(Los bienaventurados, Ediciones Siruela, Madrid,1990, p.97
- 99)
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