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Herald Square, New York City, 1952


Dorothea Lange (Usa, 1895-1965)

"Feci un gran salto a causa di un fenomeno della natura. Quella sera uscii per stare un po' con me stessa. Vidi che si stava formando un temporale. Quando scoppiò, io stavo lì, seduta su una grande pietra, e lì in mezzo, mentre i tuoni risuonavano e il vento sibilava, seppi che ciò che dovevo fare era fotografare e concentrarmi sulle persone, solo sulle persone, gente di ogni tipo, gente che mi avrebbe pagato e gente che non lo avrebbe fatto".

Con queste parole Dorothea Lange descrive il "momento di illuminazione" in cui decise di dedicare tutta la sua vita alla fotografia.
Conosciuta principalmente per i suoi reportage sulla Depressione Americana degli anni '30, restò legata al gruppo fotografico f/64, chiamato così per la minima apertura del diaframma che permette una maggior profondità di campo. Nelle sue fotografie, alcune delle quali apparse sulla rivista Life, la gente comune è riconosciuta come autentica protagonista del dramma che sta vivendo. Come lei stessa afferma a proposito della sua opera: "Se nelle mie fotografie vedi fondamentalmente miseria umana, avrò mancato l'intento di mostrare la multiformità di realtà di cui esse sono riflesso".

Il rispetto e l'affetto con cui Lange si accosta alle persone che ritrae, è legato al suo modo di intendere il lavoro fotografico: "Un buon modo di lavorare è aprirti a te stessa il massimo che puoi, il che risulta una cosa molto difficile da farsi: essere come un pezzo di materiale sensibile, non ancora esposto". Convinta che le sue immagini potessero aiutare a cambiare le cose, fu una viaggiatrice instancabile che percorse praticamente i cinque continenti con la sua inseparabile Leica.

Le numerose pubblicazioni ed esposizioni che sono state realizzate della sua opera le hanno dato fama mondiale come fotografa e come grande suscitatrice di coscienza sociale. Di lei si è detto che unisce perfettamente gli appellativi di artista-osservatrice, soddisfacendo la supposta oggettività richiesta dai giornali e la soggettività emozionale che porta con sé il suo personale sguardo.


Dorothea Lange (Usa, 1895-1965)

“Di un gran salto a causa de un fenómeno de la naturaleza. Aquella tarde salí para estar un rato conmigo misma. Vi que se estaba formando una tormenta. Cuando estalló, allí estaba yo, sentada en una gran piedra, y allí en medio, con los truenos sonando y el viento silbando, supe que lo que tenía que hacer era fotografiar y concentrarme en las personas,
sólo en las personas, gente de todo tipo, gente que me pagara y gente que no lo hiciera.”

Con estas palabras describe Dorothea Lange el “momento de iluminación” en el que decidió dedicar toda su vida a la fotografía.
Conocida principalmente por sus reportajes sobre la Depresión Americana en los años 30, estuvo vinculada al grupo fotográfico f/64, llamado así por la mínima apertura del diafragma que permite la mayor profundidad de campo. En sus fotografías, algunas de ellas aparecidas en la revista Life, la gente corriente es reconocida como auténticos protagonistas
del drama que están viviendo.

Como ella misma afirma a propósito de su obra: “Si ves fundamentalmente miseria humana en mis fotografías, habré fallado al tratar de mostrar la multiformidad de realidades de las que son reflejo.” El respeto y el afecto con el que se acerca Lange a las personas que retrata, tiene que ver con su manera de entender la labor fotográfica:
“Una buena forma de trabajar es abriéndote a ti misma todo lo que puedas, lo que resulta algo muy difícil de hacer: ser como un pedazo de material sensible, todavía sin exponer.” Convencida de que sus imágenes podían ayudar a cambiar las cosas, fue una viajera incansable que recorrió prácticamente los cinco continentes unida a su inseparable Leica.

Las numerosas publicaciones y exposiciones que se han hecho de su obra le han otorgado fama mundial como fotógrafa y
como gran motivadora de la conciencia social. De ella, se ha dicho que conjuga perfectamente los apelativos de artistaobservadora,
satisfaciendo la supuesta objetividad esperada por los periódicos y la subjetividad emocional que lleva consigo
su personal mirada.