La
Dea Madre a Creta
IL
DIBATTITO: GLI STUDI SU CRETA E IL CULTO DELLA DEA
La
presenza femminile e il significato altamente simbolico e divinizzato che aveva
la donna a Creta è riconosciuta da tutti gli studi sicuramente in Gustav Glotz e altri studi apparsi intorno agli anni
’20,’30.
Non
si tratta tuttavia di un sistema di riferimenti imprescindibili, come la rivoluzione
copernicana è in astronomia . Piuttosto è diventata una introiezione,
come si dice in psicologia. Ma se ha cambiato qualchecosa lo vediamo nella storia
così come è.
Ancora
poco le donne e gli uomini sfruttano la potenza originatrice di conoscenza e di
simbolico (unione
di vita e di cultura dei segni) che deposita in noi una storia delle donne letta
per modificare noi stesse/i e lo stato del nostro sapere.
Il culto della Dea Madre lungo un arco temporale che va dal paleolitico
al neolitico. Fra i più antichi reperti troviamo i templi di pietra e le
statuette steatopigie di Malta. (cfr.Malta
e i suoi templi di pietra). E' presente in segni energetici
e vitalistici. Come hanno dimostrato gli studi di Marija Gimbutas, su centinaia di reperti raccolti
in luoghi differenti e lontanissimi. Questo culto persevera in epoche successive
ed è forse ancora rilevabile nel culto contadino della Signora che resuscita gli
animali morti, rilevato in età medievale e moderna..
A
Creta il culto della Dea madre permane durate la civiltà minoica e diventerebbe
secondario con l’irrompere degli dei della guerra importati dalla popolazione
micenea. E’ una interpretazione che appartiene alla tragedia. Enunciata nelle
Eumenidi, la tragedia finale del mito raccontato nell’Orestea, ha trovato in
Luce Irigaray una lettura di grande interesse per
la storia non solo femminile.
La
interpretazione di Riane Eisler e di Marja Gimbutas rintraccia la cultura
pacifica del culto della Dea madre nei simboli dell’antica Europa. Un materiale
abbondante ma – scrive l’archeologa – sul quale «scarsa è stata invece
l’attenzione ad esso dedicata». Le due studiose usano il termine gilania,
coniato da Riane Eisler. E' una parola composta dalle radici greche della
parola donna e uomo, unite dalla l come legame tra le due parti dell’umanità,
per spiegare la struttura sociale ‘egualitaria’ di popolazioni matrifocali.
Questa
cultura si trasforma con le incursioni dei popoli protoindoeuropei fra il 4300
e il 2800 a.C.
«Le
regioni dell’Egeo e del Mediterraneo e l’Europa occidentale si sottrassero piu’
a lungo al processo; in isole come Thera, Creta, Malta
e Sardegna, l’antica cultura europea fiorì dando luogo a una civiltà creativa
e invidiabilmente pacifica fino al 1500 a.C.» (M.Gimbutas op.cit)
Tuttavia
fra gli studiosi c’è già stato un dibattito nella prima metà del XX secolo. Glotz
per esempio ritiene che il culto della dea madre rimanga e abbia testimonianze
successive.
L'archeologa
Luisa Banti che faceva parte della missione archeologica
italiana a Festo, negli anni ’30, è stata in disaccordo con alcune interpretazioni
del culto della dea madre.
Contro
l’interpretazione piu’ condivisa e ritenuta più sicura Luisa Banti argomentò
per sottoporla a revisione. E’ proprio certo - chiedeva - che il culto reso ai
morti nelle necropoli sia necessariamente passato per la grande divinità femminile?
In
questi anni Marja Gimbutas e Riane Eisler sono state lette, anche se in ritardo,
avviando studi di femministe italiane.
DEA
MADRE E REPERTI
All'origine di questi culti femminili troviamo le statuette steatopigie.
Decine
e decine di simulacri di divinità sono raffigurate in
piedi: con le braccia incrociate davanti - individuabili dai due segni orizzontali
che attraversano la figura- e i seni.
Sono
- secondo Marija Gimbutas - «simboli di morte», annoverati fra i Nudi
rigidi « I celebri idoli in marmo rinvenuti nelle tombe cicladiche e cretesi
del 3500-2500 a.C. circa continuano la tradizione del Neolitico/Età del Rame:
vulva piu’ grande del naturale, atteggiamento rigido con braccia piegate o assenti,
gambe rappresentate schematicamente o assenti, collo cilindrico con o senza maschera
e una cresta in rilievo come naso».
Ape,
toro e farfalla, uccello, zig-zag, il segno M, il tre, seni e corsi d’acqua, occhi,
ariete e motivo a rete, vulva, cervo e orso, serpente, i doppi, l’uovo, triangolo,
zampe d’uccello, la barca, rana, porcospino e pesce, spirale, ciclo lunare, uncino,
ascia, vortice, pettine, spazzola, mani e piedi della dea, menhir e cerchi
sono simboli del potere rigenerante della dea madre.
Nei
periodi protopalaziale e neopalaziale
i soggetti femminili visibili negli affreschi recuperati e esposti al Museo di
Iraklion sono alcuni fra i piu’ noti esempi di arte antica
(
I delfini della sala della regina a Cnosso, le Dame in blu, la Parisienne,
la sacerdotessa del sarcofago di Haghia Triada).
La
presenza femminile è però straordinariamente percepibile anche in decorazioni,
simboli, nella conservazione di moltissimi reperti di vita civile, i vasi, i gioielli,
centinaia di sigilli con i quali artisti e artiste marcavano le loro opere perché
restassero originali.
Le
donne avevano uno speciale significato per la vita di Creta. Riconoscibili anche
per il colore bianco della pelle mentre gli uomini, forse perché si esponevano
al sole, sono colorati di rossiccio. Elegantissime vestivano abiti particolarmente
vistosi, rivisitabili osservando la la dea dei serpenti.
Il
seno scoperto, è segno di una presenza sacra alla fertilità e alla vita di pace,
esce da un corpetto stretto. La vita sempre sottolineata da una serte, sia nelle
donne che negli uomini, dava il movimento circolare alle ampie gonne a balze,
uno dei motivi piu’ caratteristici della moda femminile a Creta. Distinguono i
khefiu’- i cretesi nella lingua egizia - il ciuffo, portato sia dalle donne che
dagli uomini, i lunghi capelli e il cappellino a cono a volte indossato da entrambi.
Queste
donne le ritroviamo, giovani atlete che gareggiano con i tori e un compagno nelle
scene delle taurocatapsie.
Così
nelle scene religiose sono sacerdotesse.
Ma ritornano protagoniste della vita sociale e lavorativa; le donne in alcuni
sigilli sono raffigurate come artigiane. Sono visibili nel Museo di Iraklion.
Erano quindi le autrici di qualche opera. Queste artigiane del sigillo cretese
non sono le uniche che conosco dell'età antica. Nella mostra di Milano
Eroi e dei dellantichità tra Museo Archeologico e Palazzo Reale
era visibile la kalpis attica a figure rosse del Pittore di Leningrado
(470-450 a.C.) dove un' artigiana è intenta a plasmare un vaso. Le nikai
incoronano gli artigiani delle restanti parti del cratere, mentre lei è
ignorata. Non è un caso, quindi, se queste raffigurazioni non ci sono note.
I
sigilli ritrovati a Creta appartenevano a chi svolgeva un lavoro artigianale specializzato
avendo a disposizione il forno per i vasi o attrezzi quali gli strumenti per cesellare
di cui sono rimaste le matrici. Sono ceselli, martelletti, bulini necessari tanto
per la glittica che per l’oreficeria. Una tecnologia che veniva curata e arricchita
proprio per il valore speciale che aveva l’arte a Creta. Un' abilità che insegnerà
a tutta la civiltà egea gusto e raffinata inventiva dalla quale le popolazioni
continentali erano ancora lontane. Un rapporto e un insegnamento visibile se confrontiamo
i pezzi della ceramica minoica con quella delle dee post-palaziali
interessanti documenti del culto della dea ma anche proposte di artigiani minoici
che hanno ormai dimenticato la lezione artistica originaria.
E'
a Gòrtina dove in epoca greca
sono state rintracciate le manomissioni di schiavi ( la libertà data agli schiavi
era un atto proibito alle donne nella Grecia continentale) da parte di donne.
Vale a dire che una tradizione di indipendenza femminile si ritrova dove evidentemente
c’è stata e ha avuto un seguito.