Eufrosinija
"Chioccia"
Chioccia
in argento, VI sec. Tesoro di Teodolinda nel duomo di Monza |
Delle
parole pronunciate dalla viva voce di Eufrosinija, è restata testimonianza
di questo sermone rivolto alle monache e ai monaci del monastero femminile del
San Salvatore e del monastero maschile della Madre di Dio
"Ecco vi ho
qui riunito, come una chioccia i suoi pulcini, come gli agnelli al pascolo di
Dio e si avvicina il tempo di raccogliere i frutti della vostra fatica. La parola
di
Dio io l'ho raccolta nel campo dei vostri cuori; si avvicina l'ora del
raccolto e a voi è necessario diventare puro grano di cristo e non pula
che viene bruciata
"
La figura del circolo. A cui fa pensare l'incipit,
con la chioccia al centro e i pulcini intorno è una delicata rappresentazione
della dipendenza necessaria per la crescita. Ne ho ammirato un raffinato esemplare
del VI secolo, la scultura di argento dorato con la chioccia e i sette pulcini,
appartenente al tesoro di Teodolinda nel duomo di Monza.
Il divino secondo
Eufrosinija consiste nella lettura che è capace di fare del cuore delle
monache e dei monaci, non è una forza esterna un'ispirazione solitaria
e solipsistica, ma si sviluppa da un moto relazionale, in una circolazione di
amore.
Eufrosinija fa intendere una concezione della divinità, di Dio,
immanente, che trova la sua origine nell'amore; diventa essenziale che in questa
relazione si mantenga la purezza del cuore, affinché la scintilla di divinità
che è in ciascuna/o, che la badessa vede e coglie, non si spenga e alimenti
la relazione e la comunità di cui ella è perno, come una forza moltiplicatrice.
Il senso del suo insegnamento oltrepassa le Sacre Scritture,
dove troviamo nel Vangelo secondo Matteo, l'allegoria della
chioccia con i pulcini. Fa parte della Chiesa orientale una
interpretazione più letterale del passo della genesi
sulla creazione, dove si dice che "lo Spirito di Dio aleggiava
sulle acque", in cui si parla dello Spirito che covava
le acque, facendo esplicito riferimento a un Dio come chioccia
cosmica, che permette la vita. Questa lettura è stata
esclusa dalla patristica occidentale. Ne troviamo traccia in
Abelardo come sostiene Michela Pereira. L'allegoria presenta
un indubbio fascino, non fosse altro che per l'esplicito paradosso
che contiene: covare, essendo quanto di più statico e
terreno si possa immaginare, mentre le acque rappresentano il
movimento infinito e incessante. Figura toccante della contraddizione,
come la nascita stessa, se mettiamo al posto dell'acqua l'immagine
dell'uovo. E noi veniamo al mondo dopo una rottura delle acque.
Anche Ildegarda di Bingen pensava all'universo come ad un immenso
uovo cosmico.