Una
mediazione non riuscita: la lotta tra Sofia e Bernardo
Una
dura lotta per l'indipendenza
Fu durante questo viaggio che la lotta di Sofia, con l'appoggio di Willigiso,
da una parte contro Bernardo dall'altra si fece più aspra. Gandersheim
era retto ancora da Gerberga, ma poiché era malata, gran parte dei compiti
dirigenziali vennero svolti da Sofia, designata a succedederle. Conosciamo la
vicenda dal racconto di parte di Tangmaro, maestro ed amico di Bernardo, e dalle
sue parole possiamo intravedere la durezza e l'importanza della posta in gioco.
Sofia non riconobbe la dipendenza dal vescovo, ma si pose con lui su un piano
di parità in quanto entrambi consacrati da Willigiso, il metropolita da
cui dipendevanosia Gandersheim che Hildesheim. Tangmaro riferisce che Sofia diceva
"che da lui era stata consacrata, non dal vescovo di Hildesheim, e che quindi
il controllo nei suoi riguardi del vescovo Bernardo non era assolutamente pertinente".
(1) Non solo ma diffuse la voce tra le monache che poteva cacciarlo e allontanarlo.Una
volta, dovendo far consacrare una chiesa, Gerberga malata, affidò i preparativi
a Sofia, che chiamò Wiiligiso. Ma poiché Gerberga aveva invitato
Bernardo, costui al suo arrivo non trovò nulla di preparato, anzi alcune
persone gli resistettero e lo avrebbero cacciato con ingiuria, se avesse voluto
consacrare la chiesa. Bernardo allora ne vietò la consacrazione e celebrò
ugualmente la messa, suscitando una reazione ancora più accesa. Le monache
indignate si avvicinarono all'altare e sputarono l'ostia, imprecando contro il
vescovo. Sofia non tenne in alcun conto il divieto e chiamò Willigiso per
la consacrazione il giorno di San Matteo, invitando alla cerimonia anche Bernardo,
che in sua vece inviò il vescovo Ekkardo con diversi rappresentanti del
monastero maschile di Hlidesheim. Willigiso allora riunì un sinodo per
dirimere la questione, a cui si oppose Ekkardo con un altro sinodo. Bernardo intanto,
per ottenere l'intervento diretto dell' imperatore e del papa, intraprese il 2
novembre il viaggio verso Roma, dove arrivò il 4 gennaio del 1001. Qui
il papa e l'imperatore, su consiglio del duca Enrico, indissero un sinodo che
dichiarò illegittimo quello di Willigiso e reintegrò Bernardo. Da
metà agosto l'imperatore viveva a Roma, chiamatovi urgentemente dal papa,
e vi sarebbe restato sei mesi, il soggiorno più lungo del suo regno. Al
suo arrivo, durante la grande processione per l'Ascensione della Vergine, l'imperatore
era stato acclamato dalla folla, ma già a novembre la città di Tivoli
si era ribellata e aveva subito un assedio di due mesi, terminato con la resa,
senza vendette, grazie all'intervento dell'eremita Romualdo e di Bernardo, appena
arrivato. Anche Roma insorse il 20 gennaio e Bernardo riuscì a trascinare
le truppe tedesche al contrattacco, brandendo la sacra lancia. L'imperatore rimase
bloccato nel suo palazzo per tre giorni, finché non venne negoziato un
breve armistizio, ma il 16 febbraio dovette fuggire da Roma con Silvestro II.
Bernardo ritornò in Germania, dove però la lettera papale, non venne
accettata da Willigiso. Nella chiesa anche i laici si scagliarono contro Bernardo
e il vicario apostolico. Non solo, ma quando Bernardo si recò a Gandersheim
trovò un esercito, un'immensa moltitudine, armata come per affrontare una
guerra, riunita e incitata da Sofia.
Dunque, nonostante l'appoggio imperiale
e papale, l'intervento del vescovo venne visto come un'ingerenza da contrastare
anche con le armi. La posta in gioco era l'indipendenza, le dame di Gandersheim
non erano disponibili a perderla facilmente. Infatti né il sinodo di Francoforte
del 15 agosto del 1001, né quello romano del 27 dicembre, svoltosi presso
Todi, riuscirono a risolvere la controversia, benché le pressioni di Bernardo
sulla corte imperiali fossero insistenti. Vi aveva infatti inviato proprio Tangmaro,
che era ritornato in Sassonia carico di doni, dopo aver incontrato l'imperatore
a Spoleto. Poco dopo il 24 gennaio 1002 a soli ventun anni Ottone III morì
nel campo da guerra vicino a Roma, che non era stata ancora riconquistata. Si
aprì la lotta per la successione da cui uscì vincente Enrico, legittimo
erede, che venne incoronato in una fastosa cerimonia con molti dignitari reali,
l'arcivescovo Willigiso e il presule Bernardo. Anche Sofia venne eletta badessa
e di nuovo fu lei a determinare le modalità della consacrazione, che vennero
criticate dal partito del vescovo sul piano morale, non volendo ammettere la sconfitta
politica. Tangmaro infatti scrisse: "Sofia, eletta al governo di Gandersheim,
secondo la sua abitudine, come aveva rifiutato il proprio vescovo per la sua vestizione,
così ora ha disdegnato perfino di ricevere la consacrazione dal suo pastore
e padre superiore e, spinta da orgogliosa e vana superbia, mira a farsi benedire
dal re, dalla regina e dai principi. Bernardo, non essendo in grado di ostacolarla,
accondiscese." (2) Anche questa volta si vuol far passare per vanità,
il riconoscimento simbolico di indipendenza. La benedizione reale equipara simbolicamente
la badessa al vescovo e dunque proibisce indirettamente l'ingerenza di quest'ultimo.
(1)
"se ab illo velatam, non ab Hildenesheinensi episcopo, ad provisionem Bernawardi
episcopi se minime pertinere" Thangmaro, Vita Bernwardi Episcopi Hildesheimensis,
ed.G.H.Pertz, M.G.H., Scriptores, IV, Hannover, 1841, p.763, trad. Marirì
Martinengo
(2)
"Sophia vero ad Gandenesheimense regimen electa, more suo, velut in sacro
velamine proprium repudiata est episcopum, ita nunc quoque dedignata a suo pastore
et patre regiminis et consecrationem percipere, tumore et fastu vanitatis a palligero
benedici obtentu regis et reginae ac principium expetit. Dominus autem Bernwardus,
non valens resistere, annuit." (Thangmaro, id, 1841, p. 776, trad.
Marirì Martinengo)]