Donne e conoscenza storica
  
Indice
Rosvita


Diventare scrittrice



Il ciclo delle otto leggende è preceduto da una Prefazione (1) in cui Rosvita tocca con suggestiva autoconsapevolezza i problemi tipici di chi inizia a scrivere.
Quando e in che modo si può offrire al pubblico e ai critici la propria opera?
E se una donna ama scrivere, come può sradicare gli stereotipi che la vogliono incapace di farlo?
Quale dev'essere il rapporto con le fonti? La loro veridicità dipende dal fatto che ciò che esse narrano è accaduto o in primis dalla verità che chi vuol scriverne vi riconosce?
Qual è il punto di equilibrio tra il bisogno di confronto e il timore di essere scoraggiate o scoraggiati in un lavoro che nel farsi è continuamente perfettibile?
Non basta essere in grado di vedere imperfezioni ed errori nei propri testi e, faticando, cancellare, correggere, riscrivere, se questo non determina consapevolezza delle proprie capacità di scrittura e con essa la forza di completarli e mostrarli, senza soccombere alle critiche.
Di quali relazioni l' opera è frutto?
Per rispondere leggiamo le parole di Rosvita, nella traduzione da Dronke, che cerca di fornire anche un'impressione del suo modo di rimare.

"Questo libretto, ornato di poche grazie di bellezza ma con non poche attenzioni elaborato, l'offro alla benevolenza di tutti coloro che han sapienza perché lo correggano, o almeno a quelli che non si divertono a denigrare gli sbagli, ma piuttosto a correggere gli errori. Confesso infatti di non aver sbagliato poco, non solo nel riconoscere la lunghezza delle sillabe, ma anche nel comporre in stile poetico: e molto in questa serie di poemi dovrebbe nascondersi, tanto è meritevole di rimprovero; ma si perdona facilmente a chi ammette i propri errori, e le colpe meritano le debite correzioni." (2).

In questo inizio Rosvita, offrendo il suo lavoro alla benevolenza di coloro che han sapienza perché lo correggano e lo migliorino, utilizza un classico topos delle prefazioni e dediche dal primo secolo in avanti, ma nel contempo qualificandosi per la sua abilità di costruzione del discorso, ricca di antitesi e di rime, contraddice nei fatti ciò che deve per tradizione affermare. E' una sua caratteristica modalità dove l'apparente umiltà viene smentita dall'abilità e dall'ironia.

Rosvita si difende poi dall'accusa di aver utilizzato come fonti testi apocrifi, scrivendo:

"Ma se mi si obietta che certe cose nell'opera sono tratte da scritti che alcuni ritengono apocrifi, non è colpa di iniqua presunzione, solo di ignorante supposizione; dato che, quando presi a tessere il filo di questa serie, non sapevo che le cose su cui mi accingevo a lavorare fossero dubbie. E quando ne venni a conoscenza mi rifiutai di abbandonare l'opera, dato che quel che sembra falso sarà forse dimostrato vero." (3)

Rosvita sembra da un lato sostenere che il concetto di apocrifo è relativo, perché nuovi documenti possono mettere in discussione giudizi che parevano inappellabili, ma forse vuol anche dire che la creazione artistica può rivelare una sua verità.

Successivamente ci parla del suo desiderio di scrivere e di come, temendo che esperti la sconsigliassero, avesse scritto segretamente. Infatti prosegue:

"Così stando le cose ho tanto maggior bisogno dell'aiuto di molti a difesa dell'opera finita, quanto più all'inizio potei basarmi solo sulle mie piccole forze: non ero ancora abbastanza matura d'anni, né dotata di conoscenza. Ma non ho ardito osare di presentare le mie intenzioni ad alcun saggio, chiedendogli consiglio, per tema che mi fosse impedito scrivere per la mia rozzezza. Così, segretamente, quasi furtivamente, ora da sola sul mio componimento faticando, ora ciò che era mal riuscito cancellando, tentai al meglio delle mie possibilità di comporre un testo, anche se di nessuna utilità, basato sui passi degli scritti che avevo raccolto e serbato nell'aia del nostro cenobio di Gandersheim: prima attraverso l'insegnamento istruttivo della coltissima e gentilissima maestra Rikkardis e delle altre che insegnarono al suo posto, poi sotto la benevola considerazione della regale Gerberga, sotto la cui guida di badessa ora vivo; sebbene più giovane di me, era più dotta, come si conviene alla nipote di un imperatore, con affetto mi istruì perfettamente su alcuni autori, che lei per prima aveva conosciuto da persone molto sapienti." (4)

Il riferimento ai molti che dovrebbero difendere la sua opera presuppone un pubblico più vasto delle ospiti del monastero, molto probabilmente il riferimento è alla corte di Ottone, dove, oltre a Bruno, fratello dell'imperatore e cancelliere del regno, vissero gli esuli Raterio e Liutprando, e furono invitati Gonzone da Novara e Etienne di Pavia, e ad altri monasteri, soprattutto femminili, come quello di Regensburg (Ratisbona), dove fu educata Gerberga e dove alla fine del Quattrocento fu ritrovato il manoscritto delle opere di Rosvita.
Solo ora che l'opera è compiuta l'autrice può accettare le critiche ed essere aiutata a difenderla, nessun saggio può più scoraggiare il suo desiderio di scrivere. Si assume la responsabilità di ciò che ha scritto, sottolineando la solitudine e la fatica artigianale del comporre, ma subito dopo rivela ciò che ha consentito la nascita dei suoi scritti: l'aia (un luogo casalingo) di Gandersheim, dove un insegnamento a più voci e il riconoscimento di una disparità culturale le hanno consentito l'ampliamento della conoscenza di diversi autori e un fertile scambio, in cui si è giocato affetto e benevolenza.

La Prefazione prosegue sostenendo che:

"Sebbene sembri difficile e duro per una donna, deboli come siamo, io, confidando nell'aiuto sempre misericordioso della suprema grazia, e non sulle mie sole forze, ho deciso di armonizzare le liriche di quest'operetta in misure dattiliche." (5)

Rosvita, con l'ironia che le è propria, irride lo stereotipo della debolezza femminile (non a caso le sue opere insistono sull'eroismo femminile), infatti utilizza l'esametro, tipico verso della poesia eroica, prerogativa maschile.

Inoltre sostiene di aver scritto perché il suo "ingeniolum", non andasse perduto; paragonandolo al talento, la moneta del Vangelo, dice:

"Il talento del poco ingegno che mi si attribuisce non doveva giacere nell'oscura caverna del cuore, né venir distrutto dalla ruggine della negligenza, ma invece colpito dal martello dell'indefessa diligenza, doveva echeggiare qualche nota a lode di Dio, in cui se non si fosse dato il caso di trarne un profitto commerciandola, tuttavia si sarebbe potuto trasformare a volte in uno strumento di estrema utilità." (6)

Dunque occorre un esercizio diligente per non perdere la capacità inventiva, occorre far echeggiare le proprie parole, sentirne l'utilità. Spesso le donne scoraggiate o disincentivate nello scrivere hanno sperimentato il proprio intimo come un'oscura caverna in cui la loro immaginazione a
poco a poco perdeva vitalità e una ruggine dall'interno la corrodeva fino a distruggerla.

La prefazione termina con la tipica offerta dell'opera a chi leggerà perché la corregga.

"Perciò, chiunque tu sia, o lettore, se la tua mente è retta e inclinata a Dio, applica senza pigrizia l'impegno della rettitudine alla pagina manchevole, che non è difesa dall'autorità di nessun maestro, attribuendo a Dio, se qualcosa viene approvato come ben composto, e indicando la mia negligenza come responsabile dell'insieme dei difetti, ma tuttavia non con aspra critica, ma con indulgenza, poiché la violenza della critica si infrange, là dove interviene l'umiltà della confessione." (7)

Non ha maestri che difendano la sua opera, tuttavia Rosvita è consapevole che vi siano parti ben composte, il cui merito va attribuito a Dio, dichiara la possibile inadeguatezza per infrangere la durezza delle critiche, ma nei fatti con la complessità della scrittura smentisce le sue parole.

Subito dopo è posta la prima dedica a Gerberga (8)

"Salve, famosissima discendente di stirpe reale,
O Gerberga, di illustri comportamenti e studi,
Accetta, amica, signora benigna, serena
questo poema da poco che ti offro affinché tu lo ripulisca,
E correggi benignamente i suoi rozzi versi,
che la tua eccelsa sapienza ha istruito;
E quando sei stanca per i diversi impegni
Degnati di leggere questi versi per divertirti.
Fa in modo di migliorare l'imperfetta musa
E di rafforzarla con l'eccellenza della tua magistralità
Affinché lo zelo dell'alunna meriti la lode della superiora
E i versi della discepola quella della santa maestra.

La dedica è piena di espressioni di stima verso Gerbera dalla quale si attende correzioni, giudizio, insegnamento perché i suoi "carminula" diventino carmina, eppure chiede che li legga per rilassarsi, per gioco (ludens). Credo che in questa dedica ci sia la rappresentazione dell'ambivalente
rapporto tra chi scrive e la prima lettrice o lettore: si chiede un giudizio autentico, ci si prepara a critiche anche dure, ma si spera sempre che la lettura sia stata un piacere.

Prima del Basilio, sesta leggenda, troviamo un'altra dedica a Gerberga in cui, offrendole i suoi versi, le chiede

"Non disprezzarli, anche se son pieni di errori,
ma col tuo animo gentile, loda le gesta di Dio."(9)

In questa seconda dedica dunque Rosvita sembra consapevole che l'essere diventata poeta è opera divina o forse anche che lo sono i suoi testi, sembra dunque aumentata l'autoconsapevolezza del valore del suo lavoro.

Nel ciclo delle Leggende tre sono i riferimenti specifici a Gerberga, un modo questo per riconoscere il sostegno che la badessa ed amica le ha dato durante il lavoro di composizione. Del resto, come sostiene Bezzola, interpretando in modo letterale un passo del Teofilo,
(10) le leggende probabilmente venivano lette nel convento durante i pasti. Non è pensabile che Rosvita terminasse gli otto testi prima di farli conoscere nell'ambito del convento.
Si può ipotizzare che il primo gruppo di leggende fosse stato scritto e dedicato a Gerberga e che, sostenuta da quest'ultima, Rosvita avesse continuato l'opera fino infine a sentirsi sufficientemente sicura da offrirla a un pubblico più vasto, per il quale avrebbe scritto l'ampia prefazione.

(1) Un'analisi approfondita delle Prefazioni alle opere di Rosvita, volta a cogliere aspetti dell'autoconsapevolezza del proprio valore, a cui faccio riferimento, è stata effettuata da Peter Dronke, Women Writers of MiddleAges, Cambridge 1984; trad. it di E. Randi, Donne e cultura nel Medioevo.Scrittrici medievali dal II al XIV secolo, Il Saggiatore, Milano 1986, p. 94-108
(2) Pref., 1,2, in P. Dronke, Donne..., op. cit., p.94
(3) Pref., 3-4, in P. Dronke, Donne..., op. cit., p.94
(4)
Pref., 4-5, in P.Dronke, Donne..., op. cit., p.94, eccetto la parte che si riferisce a Rikkardis e Gerberga, da lui tralasciata e tradotta da Marirì Martinengo
(5) Pref., 8, in P. Dronke, Donne..., op. cit., p.95
(6) Pref., 8, in P. Dronke, Donne..., op. cit., p.95, ho però modificato la traduzione di "sub obscuro torpens pectoris antro" da -giacere nel cuore di un'oscura caverna- in -giacere nell'oscura caverna del cuore.
(7) Pref., 9, trad. di Fioretta Mandelli da H.Homeyer, Hrotsvithae Opera, Paderborn 1970, pp. 38-39
(8) I Dedicatio, trad. di Fioretta Mandelli daH. Homeyer, Hrosvithae Opera, op. cit., p. 40.
(9) II Dedicatio, v. 5-6 in P. Dronke, Donne...,op. cit., p.97, tratto da H.Homeyer, Hrosvithae Opera, op. cit, p.176
(10) Bezzola infatti scrive: "Anche Rosvita si rese celebre per le sue leggende in versi, che erano lette in convento durante i pasti,.."(Reto R. Bezzola, Les origines de la litterature courtoise en Occident (500-1200), Paris 1958-63, 3 voll., p. 252) e come prova cita un passo del Teofilo (v.448 e seg.) qui riportato con la traduzione di Fioretta Mandelli

Unicus altithroni genitus retro tempora mundi,
Qui miserans hominis descendit ab arce parentis
Et carnis veram sumpsit de virgine formam,
Virginis ut gustum primae deleret amarum,
Consecret appositae nobis pie fercula mensae,
Has faciendo dapes gustantibus esse salubres,
Quod sumus et qod gustamus vel quicquid agamus,
Dextera factoris benedicat cuncta regentis.

Unico figlio di Dio dall'inizio del tempo,
che avendo pietà degli uomini discese dalla reggia del padre
e prese da una vergine la vera forma della carne,
per distruggere il gusto amaro della prima vergine,
e consacrare per noi i cibi della mensa piamente disposta,
facendo sì che per chi lo gusta questo cibo fosse salutare.
Ciò che siamo, e ciò che gustiamo o qualsiasi cosa facciamo,
lo benedica la mano del creatore che regge tutto.)