Donne e conoscenza storica
  
Indice
Rosvita


Leggende e dialoghi drammatici: un'unica grande opera


La verginità come indipendenza


Sapienza e le sue figlie infatti, giunte a Roma, si erano dedicate ad una vita attiva di confronto pubblico, rifiutando la scelta del matrimonio e raccogliendo attorno a sé‚ molte
altre donne. Quanto questa indipendenza e aggregazione femminili siano pericolose per l'ordine costituito viene ben percepito dai personaggi maschili che nella I scena ne discutono.

In quest'opera, come in Resurrezione di Drusiana e Callimaco, nell' ultima leggenda Agnese e nel primo dittico delle commedie La conversione di Gallicano, le protagoniste operano una scelta che ha una lunga tradizione nel mondo femminile cristiano.
Come dice Rivera, la scelta "del rifiuto del matrimonio e della sessualità matrimoniale (è) una posizione e una proposta che si scontra direttamente con i principali obiettivi (ad esempio) di collezioni molto importanti di diritto prefeudale e feudale, testi che cercarono di far sì che le donne incentrassero la loro vita nell'esercizio della maternità."(1) E più oltre sottolinea che queste opere di Rosvita, collocate nella Roma imperiale, presentano elementi del movimento delle giovani cristiane che a quell'epoca da un lato rifiutavano relazioni sessuali con uomini e dall'altro svolgevano una vita di impegno pubblico e di studio. "E' molto allettante l'ipotesi che la memoria del movimento delle celibi attive delle prime generazioni cristiane sopravvivesse nella Sassonia del secolo X ed anche che ci fosse su di loro qualche scritto nella biblioteca di Gandersheim tra quei testi non riconosciuti ufficialmente come autentici, che Rosvita maneggiava di nascosto, 'senza sapere' che non erano accettabili, ma dalla cui tradizione non volle staccarsi, una volta iniziato a 'tirare il filo di questa catena'."(2).

Nella storia di Sapienza e delle sue figlie vediamo appunto il nascere di una comunità femminile, che si sottrae alle regole sociali, una prefigurazione del gruppo delle vergini raccolte attorno ad Atumoda, primo nucleo del monastero di Gamdersheim. Ida Magli sottolinea come costante del Cristianesimo il fatto che "la donna è tanto più connessa con la vita religiosa quanto più è libera e disponibile nella vita sociale, in quanto la funzione matrimoniale e materna determina fortissime limitazioni allo sviluppo della sua personalità. Tuttavia è in parte proprio per questa situazione che il monachesimo, costituitosi come rifiuto della cultura, come abbandono del mondo, assume per la donna un significato e una funzione diversa.(...) sono piuttosto motivazione di carattere sociale e culturale quelle che spiegano la straordinaria suggestione che i movimenti monastici e paramonastici hanno esercitato sulle donne. Più che un rifiuto della sua cultura e dei beni del mondo, più che una battaglia contro se stessa e contro i suoi istinti la donna sperimenta nella professione monastica un modo di ribellione alla sua condizione sociale, una possibilità di ricerca di se stessa, non destorificata, ma al contrario storificante e reale. Perfino alcuni degli aspetti più tipici dell'ascesi, concepiti nel Monachesimo come tecniche di superamento della cultura e della caduca storicità, diventano per la donna strade positive di ritrovamento della sua realtà individuata ed autosufficiente e come tali pregne di potenza storificante." (3)

Considerato che i mariti erano scelti dalle famiglie, che spesso erano più anziani e più ignoranti delle mogli e comunque educati soprattutto alla guerra, che le donne avevano numerose gravidanze in quanto la limitazione delle nascite era legata principalmente alle assenze del marito per le campagne di guerra, che spesso morivano giovani, si può capire come esse percepissero positivamente la scelta della verginità, ma, come descrive Rosvita, fossero spesso ostacolate dagli uomini.
"Possiamo supporre, proprio in base al fascino esercitato dalla proposta della 'verginità', che lo sviluppo sessuale della donna fosse profondamente traumatizzato, e che il ritrovare come 'valore' una condizione che la liberava dal rapporto col maschio, sia stato per la donna una scoperta affascinante. Di qui d'altra parte, l'assolutezza di questo valore. Non si trattava tanto di astenersi faticosamente e sacrificalmente dai rapporti, quanto di proclamare la propria liberazione sessuale facendola assurgere a valore assoluto."(4)

(1) María Milagros Rivera Garretas, "Hrotsvitha de Gandersheim: la sonrisa, la risa y la carcajada", in Textos y espacios de mujeres, Icaria Editorial, Barcelona 1990, trad. Luciana Tavernini, p. 92

(2) id p.94. Esistono in italiano studi e documentazione sulla attiva partecipazione femminile ai movimenti cristiani dei primi secoli. In particolare segnaliamo, per l'analisi dei testi scritti da donne, il I capitolo "Da Perpetua all'ottavo secolo" in Peter Dronke, Women writers of the Middle Ages, Cambridge 1984; tr. it. Eugenio Randi, Donne e cultura nel Medioevo. Scrittrici medievali dal II al XIV secolo, Il Saggiatore, Milano 1986, pp. 11-58 e, per un
esame della situazione del II secolo, Adriana Valerio, Libertà e radicalismo nelle martiri del II secolo in Cristianesimo al femminile- Donne protagoniste nella storia delle Chiese, La Dracma, M. D'Auria editore, Napoli, 1990, pp.19-56

(3) Ida Magli , "Il problema antropologico culturale del monachesimo femminile" , in Enciclopedia delle religioni, voce Monachesimo, vol. IV, Vallecchi, Torino 1972, p. 631

(4) Ida Magli , id. p. 632