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Venezia
2001
|
Sta in Il Manifesto,
2, 9, 2001
Il poeta corsaro
con la maglia n 10
Un'intervista con Laura Betti dopo la presentazione a Venezia del suo
film su Pasolini
SILVANA SILVESTRI
Pasolini parla guardando
dritto negli occhi del pubblico: Pier Paolo Pasolini e la ragione di
un sogno di Laura Betti inizia tra le squallide case e le immondizie
che hanno caratterizzato quel pezzo di terra dove il poeta fu assassinato.
Passando da lì la scena si ripete e quello stato di abbandono
è importante, è l'immagine stessa di un disastro non arginato.
Realizzato scegliendo tra le interviste, i documentari, le letture,
i film, da un materiale sterminato confezionato seguendo una ritmica
che assomiglia al pulsare del sangue è stata trovata la strada
che fa sentire ancora una volta contemporaneo il poeta, come lo era
negli anni Sessanta per quelli che si sforzavano di capire e di agire.
La voce di Pasolini sembra essere la vera protagonista del film. E'
una voce che racconta il suo percorso di scrittura, i suoi interventi
politici si susseguono limpidi, come le indicazioni di cinema, lui stesso
operatore di macchina, il suo nuovo strumento per scrivere poesia, indicano
una strada oggi difficilmente seguita dai giovani. Quando disegna il
volto di Ezra Pound o quando sceglie le comparse di Accattone, quando
scrive, lo si legge nel film compie atti di poesia.
Incontriamo Laura Betti con il ricordo degli applausi che hanno risuonato
a lungo al solo comparire del nome del poeta e del suo nome. Ci chiediamo
che traccia ha voluto seguire in questa testimonianza di opposizione:
"Come ci si riferisce al popolo? Con la sovranità. Io aspetto
ancora la grazia a Sofri che è stata richiesta dalla sovranità
del popolo. Perché i giovani si rivoltano? Perché sanno
che è tutto finto, è un presepio. Ma i giovani sono più
sofisticati, sanno che i conti non tornano".
Tutto il materiale che circola per il mondo grazie al "Fondo Pasolini"
di cui tu ti occupi in prima persona rende la sua presenza vitale, fonte
di approfondimento costante. Cosa c'è di diverso in questo tuo
lavoro, le chiediamo: "La scelta è una scelta di solitudine.
Non è vero che si in Italia si senta la presenza di Pasolini.
All'estero è diverso, ci sono le file per vedere i suoi film,
si discutono i suoi scritti come abbiamo visti fare in maniera commovente
a Mosca. Ho cominciato a pensare al film quando Martone filmò
un mio spettacolo teatrale, Una disperata vitalità, con i soldi
di Rai2 di Freccero che ce lo ha ancora nel cassetto mentre Arte in
Francia lo sta per trasmettere a settembre. Io che non sopporto più
la mia immagine pur avendo fatto 72 film, raramente mi riconosco".
Lo dice con l'autentico charme della grande attrice, in sontuosi abiti
indiani che ci ricordano il malizioso folletto che era quando in tv,
abito nero e collettone bianco, rappresentava una presenza che non passava
inosservata, quelle volte che le era concesso partecipare, lei sofisticata
interprete di Brecht.
Parla della sua immagine anche per sottolineare che invece lei è
in perfetta sintonia con i giovani, a dispetto del passare degli anni:
"La cosa potrebbe stupire, ma io le sento le necessità dei
giovani, non basta esserlo, vuol dire sentire il mondo in una certa
dimensione che è anche poetica, se non sconfina nella violenza.
Di quegli applausi sentivo forse il bisogno: fare questo film è
stata una scelta di grande solitudine provata in Italia. La ragione
per cui avevo la necessità di far parlare Pier Paolo è
stata vedere la delicatezza con cui Martone seguiva il mio spettacolo
che era di poesia, in modo si potrebbe dire rispettoso. Ho capito che
si possono fare molte cose. Volevo rendere quello che sentivo nella
voce di Pier Paolo Pasolini, una voce come un soffio, soffiata su un'Italia
che lo ha relegato per quindici anni nella merda. C'è questa
mia visione di Pier Paolo che è lì la cui voce è
ascoltata molto più di quanto pensino le istituzioni che ne hanno
ancora paura. Viene da lì, dall'idroscalo che è la merda.
Parole generose, meravigliose".
Le diciamo che era emozionante vedere quasi la diretta della partita
della troupe di Salò contro Novecento vinta per 5 a 2 con Pasolini
che porta la maglia numero dieci, bel gioco da regista, bella energia
che come le sue parole va dritto in porta: "E' il superotto di
Claire Peploe che abbiamo gonfiato a 35. Con me non parlava di calcio
perché sapeva che non lo potevo sopportare, però lui era
tifoso del Bologna perché, non dimentichiamolo, era bolognese".
Sergio Citti che si trova lì, indeciso se fare una puntata tra
la baraonda dei produttori, aggiunge che neanche con loro, neanche con
Ninetto Davoli parlava troppo di calcio, ma portava sempre un pallone
nel cofano della macchina da usare appena trovato il campetto. Con Volponi
invece ne parlava sempre, tenevano entrambi per il Bologna e andavano
allo stadio insieme, lo racconta nel film lo stesso Volponi. "A
parte il superotto ci sono materiali diversi nel film, le interviste
girate da Scola, Bernardo Bertolucci, Bolognini fatte poco dopo il delitto
alla gente della zona dell'Idroscalo, la panchina girata da me con Dante
Ferretti che era il suo scenografo, poi c'era quel monumento. Ora pare
che risanano la zona. Ho cominciato a fare qualcosa nel novembre del
'76 ma non pensavo di Fare con la f maiuscola, sono stata colta dal
mio temperamento bolognese politico. Dovevo occuparmi del processo,
come mi chiese la famiglia, l'ho fatto e mi ha marcata per sempre, mi
sono occupata di sua madre. Credo di avere amato solo Pier Paolo. Non
ho mai perdonato all'Italia di legare la memoria di Pier Paolo ai rifiuti.
Io amo questo paese ed anche se come lui ho pensato qualche volta di
andare via resto qui, paese in preda a tante mistificazioni. Nel fare
il film non ci siamo proposti l'attualità, mai in nessun momento,
ma le sue parole sono ancora oggi attuali".
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