Donne e conoscenza storica
         
Rassegna stampa

Il femminismo e l'omosessualità della rivoluzione algerina nel regista Bahloul e Il piacere della follia di Hannah Mahkalbaf

 

 

in Il Manifesto 29 agosto 2003 Sugli schermi la poetica degli espulsi
di
ROBERTO SILVESTRI
INVIATO A VENEZIA

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L'algerino Abdelkrim Bahloul (La notte del destino, sulle ombre e le contraddizioni dell'Fln a Parigi, all'epoca del terrorismo indipendentista) ci racconta questa volta, in Il sole assassinato, il riflusso del socialismo alla Ben Bella, descritto come cosmopolita «berbero e mediterraneo». Ovvero come fu coraggioso e magnifico il «sessantotto maghrebino» studentesco e operaio contro Boumedienne, e la sua chiusura repressiva opportunistamente camuffata dall'identità anticoloniale «arabo-islamica». E cosa ci fu dietro quel poderoso movimento di massa, fortemente segnato dal femminismo, che dette un irreversibile scossone al patriarcato e alla oligarchia legata al Fronte di Liberazione Nazionale. Che infatti, dieci anni dopo l'indipendenza, fu costretto già, come la Dc in Italia, per tenersi strette le proprie poltrone, a inventarsi omicidi «frutto di sordidi ambienti» o a commettere stragi di cui incolpare i «nemici della rivoluzione», cioè le anime belle, i ragazzi più idealisti e sensibili, gli intellettuali più pericolosi, peggio se gay, le donne troppo emancipate (è impressionante la scena delle ragazze dalle gambe incatramate perché diabolicamente scoperte dalla minigonna), gli operai e i contadini più coscienti. Ispirandosi dunque un po' a Yacine e un po' a Pasolini, Bahloul revoca «l'assassinio di stato», ben congeniato dal governo per sbarazzarsi di un conduttore radiofonico estremamente pericoloso, Jean Sénac (Charles Berling), ex «pied noir», poi rivoluzionario, diventato un leader della gioventù non conformista, divulgatore della poesia, del teatro e della cultura come arma rivoluzionaria, licenziato dalla radio, cacciato di casa, fatto oggetto preferito di scherno da parte dei monelli dei vicoli, a causa della sua dichiarata omosessualità, e poi assassinato brutalmente, coinvolgendo nelle indagini i suoi migliori amici...

Bahloul sceglie i toni smorzati, i grigi nebbia, perfino la pioggia, il francese come lingua (a volte anche ridicolmente) unica, forse perché il prodotto è televisivo e transnazionale (Algeria, per il Belgio i fratelli Dardenne, poi Tunisia, oltre che Francia), ma desessualizza troppo il racconto e, anche attraverso qualche pasticcio insopportabile di dialogo (quando equipara l'illuminista Ibn Kaldun con l'oscurantista Al Ghazali) - spero dovuto a compromessi con l'euro - ci fa capire che l'unica speranza per uscire dalla Barbarie Araba risieda unicamente nell'occidente democratico libero e tollerante. Piacerà forse a Pannella ma non a chi non dimentica come è araba la nostra prima approssimazione all'illuminismo, e data almeno 5 secoli prima della presa della Bastiglia... Il sole assassinato viene dunque piegato a film telegramma, a film-simbolo per tutti i popoli che, democratici o dittatoriali, hanno alle spalle atroci crimini di stato impuniti. Ma fa capire, comunque, quello che Foucault (in quei tempi insegnante a Tunisi) ci disse sul coraggio incredibile di quei ragazzi e di quelle ragazze arabe e berbere e fenicie del Maghreb che sfidarono piazze assai più pericolose e repressioni molto più feroci rispetto all'Europa e al maggio parigino, più tutelato e garantito. Forse. Pensiamo al coraggio del cineasta tunisino Nouri Buzid (5 anni di prigione e torture) o ai film anti patriarcali del palestinese Michel Khleifi, come La memoria fertile, che ancora è vissuto come un incubo, non solo da Sharon, ma anche dall'Olp/Hamas. È stato talmente potente lo scossone dato allora alle oligarchie maghrebine che colpi di stato, guerre, aumento del prezzo del pane, elezioni farsa, militarizzazione totale e perfino il ricorso agli squadroni della morte (da noi li chiamano «fondamentalisti islamici», perché così si fa propaganda la Chiesa Cattolica) non hanno fermato alcune delle società più dinamiche egualitarie e avanzate del mondo mediterraneo. La vera culla della nostra civiltà europea. Altro che solo la preistoria ebraico-cristiana.

E a proposito di fondamentalismo religioso che diventa fanatismo strumentalizzato, ne fa un merletto all'uncinetto la quindicenne Hana Makhmalbaf che in Il piacere della follia (che ha così bene aperto la «Settimana della critica») segue la sorella Samira durante il casting per Alle cinque della sera, tra vecchietti bigotti e narcisi e ragazze misteriose e d'acciaio.

Scopriremo così i segreti della scelta di un attore, i retroscena di un film con la grinta di una bambina cinefila appassionata. E anche quanto è difficile convincere l'attore della strada a accettare un ruolo. Quando poi il set è l'Afghanistan e i talebani sono stati i primi «squadroni della morte» al mondo, dall'epoca di Cortez, a diventare esercito di occupazione, e ancora stanno nei paraggi, Samira dovrà esibire davvero tutto il suo repertorio di astuzie, sadismi e sensualità per irretirli e conquistarli. E solo una sorellina minore altrettanto sveglia di occhi sa come riprendere gli aspetti micidiali della sua più famosa parente.
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id. di NICOLÒ MENNITI-IPPOLITO
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Hana Makhmalbaf con i suoi quindici anni non ancora compiuti ha messo nei guai la Biennale. Tecnicamente, non essendo maggiorenne, non potrebbe entrare in sala neppure per vedere il film che ha girato. «Sarebbe come poter parlare agli altri - dice lei - ma non poter ascoltare». Un permesso speciale dovrebbe risolvere il paradosso. L'ultima nata del clan Makhmalbaf non è in realtà al suo vero esordio. Già a nove anni ha girato un corto presentato a Locarno, questa è però la sua prima vera regia. «Io credo che sia bello - afferma - poter mostrare agli altri quello che tu vedi. Nel caso di questo film, io dovevo solo girare il backstage del film di mia sorella Samira, ma quando mi sono trovata in Afghanistan, non ho potuto non mostrare la realtà che stavo scoprendo». Una realtà durissima.

«All'inizio - racconta Hana - non capisci, pensi che dietro il burka non ci sia nulla, e invece trovi storie incredibili, come la ragazzina che è vissuta per sei anni chiusa in casa e che sa l'inglese». Ma c'è un'altra cosa che l'ha scioccata. «Avevano paura di noi. Di mia sorella che ha 21 anni, di me, paura che tornassero i talebani, paura di tutto». Hana ha raccontato anche un po' della sua vita: «Ho smesso di andare a scuola a 8 anni. Nessuno di noi ha studiato nelle scuole. Abbiamo fatto lezione con mio padre». Ed ancora: «Io ho visto pochissimi film perché mio padre è convinto che non bisogna abituarsi a vedere cinematograficamente la realtà, altrimenti l'occhio si corrompe».