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questo sito su Storia delle donne nella Grecia antica
di Gabriella Freccero:
A
scuola da Aspasia
Aspasia
e Saffo antimetafisiche
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questo sito vedi l'ipertesto:
Storia
di Creta e il culto della Dea Madre
in
Rete:
(in
inglese) su Harriet
Boyd
Margherita Guarducci:
un
articolo nel sito di Comunione e Liberazione
la storia
della scoperta della Madonna di Montevergine
Luisa
Banti: in Enciclopedia
Treccani
|
Giovanna
Bandini, Lettere dall'Egeo: archeologhe italiane tra 1900
e 1950, Giunti, (Generazioni), Firenze, 2003. - 256 p.
di
Gabriella Freccero
Giovanna
Bandini racconta in questo libro i difficili esordi della presenza
femminile nell'archeologia italiana in Grecia.
Fino al primo decennio del '900 un'archeologa italiana che volesse
operare sul campo nella Grecia continentale o a Creta non aveva
semplicemente un posto dove andare. Non esisteva infatti ancora
un'istituzione in loco che potesse accogliere gli allievi e
svolgere un'attività coordinata di studi e ricerche,
mentre operavano in Atene già dal 1846 la scuola francese,
dal 1874 la scuola tedesca, dal 1882 l'americana e dall'1886
la britannica.
Nel 1910 finalmente viene creata la scuola archeologica di Atene,
nata sotto gli auspici del pioniere dell'archeologia italiana
a Creta Federico Halbherr, che almeno da un decennio opera nell'isola
con una propria Missione; ma anche così, per tutto il
primo ventennio di attività sono ben poche le donne che
si avventurano fin lì. Il lavoro archeologico non sembra
in effetti adatto alla fragilità della natura femminile;
si tratta di raggiungere i siti archeologici a dorso di mulo,
percorrendo strade impervie tra i monti, di dormire in stalle
offerte dai contadini locali o nella tenda da campo che ci si
porta sempre appresso, di farsi divorare dalle pulci o da qualche
forma di febbre, di lavorare gomito a gomito con maestranze
locali dai costumi rozzi e primitivi. Quale famiglia italiana
avrebbe permesso ad una figlia di buttarsi in un'esperienza
così, in tempi in cui la precarietà delle comunicazioni
rendeva la Grecia lontana almeno quanto la luna?
Così le prime testimonianze femminili sul lavoro archeologico
italiano provengono da una non specialista, Emilia Rosmini,
che si trova a far parte della Missione Archeologica Italiana
a Creta del 1910 come accompagnatrice del marito Gaetano de
Sanctis. Dal suo diario emerge soprattutto l'interesse per le
donne locali: le donne turche le appaiono figure macabre e stridenti
rispetto alla varietà dei colori e delle razze incontrate
allo sbarco nell'isola: intabarrate in neri vestiti, pesantemente
velate di nero e ulteriormente riparate sotto un ombrello anch'esso
nero, questi "tragici balocchi umani" danno all'emancipata
Rosmini un senso di lugubrità e oppressione indicibili.
Anch'essa tuttavia si trova a vivere confinata nelle diverse
residenze raggiunte dalla Missione Archeologica, mentre il marito
e i colleghi esplorano l'isola e compiono sensazionali scoperte;
nota ironicamente che a lei soprattutto si addice "il supremo
comando della cucina archeologica" e il duro compito di
"saziare degnamente l'archeologia"; osservando la
vita delle donne autoctone da una condivisa sebbene diversa
situazione di isolamento, essa coglie della condizione femminile
locale soprattutto la situazione psicologica di eterne bambine
ed esseri inconsapevoli, scambiando con esse occhiate furtive
dalla finestra o osservandone l'eterno lavoro al telaio sulla
soglia di casa.
Molto più appagante del "diverso esiglio" della
Rosmini è l'autonomo vagabondare per l'isola delle americane
alla ricerca di un sito vergine da scavare: Harriet Boyd
e la sua amica botanica Jane Patten scoprono all'inizio
del secolo, dialogando con le popolazioni locali, il ricco sito
di Kavousi nella Creta meridionale e sono oggetto di una stupita
e divertita citazione dell'esterrefatto Halbherr che nota come
"due signorine archeologhesse" (sic!) che "senza
stivali ai piedi, né calzoni né i jeans indossati
più tardi dalle archeologhe, ma negli abiti del tempo
lunghi fino alle caviglie" offrivano "uno spettacolo
straordinario" attraversando la piana di Messarà
"in compagnia di un soprastante in divisa da soldato rivoluzionario
della guerra greca di indipendenza". Per quanto bizzarro
fosse il gruppo americano, completato dalla madre del soprastante
a tutela della rispettabilità delle ragazze, dà
un'idea della incomparabile libertà di cui le anglosassoni
fruiscono a paragone delle italiane.
Soltanto altre due studiose italiane mettono piede in Grecia
prima degli anni '40 del '900: sono l'allieva di Halbherr alla
scuola di Roma Margherita Guarducci, che giunge nel 1927
a Creta, e Luisa Banti, arrivata nel 1932.
Margherita Guarducci, specialista di epigrafia, eredita l'enorme
fardello lasciatogli dal maestro di studiare e pubblicare le
iscrizioni da lui raccolte per dieci anni nell'isola, dopo che
egli si dedica esclusivamente all'attività di scavo del
sito di Festos e di Hagia Triada. A dorso di mulo, Margherita
si arrampica per tutta l'isola per confrontare i calchi fatti
da Halbherr, misurare, correggere e verificare il lavoro del
professore; dal 1930 dopo la morte improvvisa del maestro si
ritrova sola a portare a compimento la monumentale pubblicazione
dell'opera in quattro volumi delle Inscriptiones Creticae,
che le valgono fama internazionale.
Luisa Banti collabora agli scavi di Hagia Triada in quanto esperta
di storia delle religioni, con l'incarico di portare a compimento
la pubblicazione degli studi sul palazzo di Festos. Rimane -
oltre le varie collaborazioni e articoli - una sua Guida
agli scavi italiani in Creta rivolta sia al mondo scientifico
che al turista profano, che coniuga la precisa descrizione dei
siti archeologici con notazioni ad uso turistico quali le vie
più spedite per raggiungere i siti, indicazioni di alloggio,
ecc.
A parte le due figure ricordate, la presenza di allieve italiane
della scuola archeologica è attestata soprattutto dalle
lettere inviate da queste al direttore, recuperate dall'autrice
in uno scantinato dell'Università La Sapienza di Roma
quale fondo d'archivio. Esse confermano che l'esperienza di
studio in Grecia era per quasi tutte un'esperienza scolastica
eccezionale, al limite del viaggio-premio o viaggio di istruzione,
ma che per pochissime rappresentava la via di accesso alla professione
di archeologo, come era normale per gli allievi maschi. Abbondano
nelle lettere i toni di estrema deferenza, di ringraziamento,
quasi per una liberalità generosamente elargita, mentre
nelle lettere degli allievi prevale un tono deferente ma professionale,
da futuri collaboratori su un piano di parità.Le allieve
scrivono meno lettere, perché sono meno spesso in missione
dei colleghi maschi, e pubblicano quindi meno articoli e studi.
Spesso per le decisioni più importanti come differimenti
dei viaggi o consegne dei diplomi è la stessa famiglia
dell'allieva a sostituirsi a lei nella lettera, soprattutto
il padre, a dimostrazione di una tutela ancora molto forte della
famiglia d'origine esercitata anche a distanza.
Dopo la guerra una figura su tutte si staglia per autonomia
ed indipendenza nel rapporto con l'allora direttore Doro Levi,
quella di Enrica Fiandra, ancora oggi in attività
come direttrice della Missione Archeologica italiana a Leptis
Magna. Archeologa anomala in quanto laureata in architettura
al Politecnico di Torino, è presente alla scuola di Atene
dal '55 al '61, anni nei quali diverrà la più
stretta collaboratrice di Levi occupandosi dello scavo di Festos
a Creta e dell'allestimento di un Museo stratigrafico dello
stesso sito, arrivando nei periodi di assenza di Levi a coordinare
effettivamente in prima persona tutta l'attività degli
archeologi italiani sul sito. L'epistolario della Fiandra è
modulato su una serie di registri diversi a seconda dei destinatari:
il direttore, i colleghi studiosi, la famiglia a Torino. Peculiare
del suo modo di esprimersi è una curiosa disposizione
ad affiancare allo scritto - fino a sostituirlo completamente
- vere e proprie strisce a fumetti, dove le sue esperienze di
scavo, gli incontri con le bellezze dei siti, gli stati d'animo,
i rapporti con i colleghi allievi, sono passati al vaglio di
una ironia pungente e si fissano in una iconografia sintetica
e divertente. Tutti i suoi corrispondenti ne sono conquistati
e gliene chiedono in continuazione, ma Fiandra ha l'abitudine
di scrivere poco e solo se ha davvero cose da comunicare. La
corrispondenza con Levi è giocata su un duplice registro
di rispetto per l'autorità e di studiata ironia che mette
in luce il carattere indipendente dell'allieva, che arriva ad
impostare un rapporto quasi paritario con il direttore. Indipendenza
che, dopo un periodo di strettissima collaborazione e totale
fiducia di Levi verso di lei, porta all'incrinarsi del loro
rapporto e alla definitiva rottura nel 1961, per la decisione
della Fiandra di presentare una propria relazione al congresso
di studi cretesi, rubando così la ribalta professionale
all'esimio professore.
Conclude il volume una lunga intervista di Bandini a Margherita
Guarducci, dove l'ormai anziana studiosa ripercorre le tappe
della propria carriera professionale e gli anni faticosissimi
e mirabili della Missione Cretese, e la scoperta scientifica
che l'ha fatta conoscere al grande pubblico, l'individuazione
del sepolcro di Pietro in Vaticano, scoperto in base alla corretta
traduzione dell'epigrafe greca soprastante come Petrus eni,
cioè Pietro è qui dentro; molto godibile in appendice
la riproposizione delle vignette della Fiandra, che dimostrano
un talento multiforme e ironico perfettamente coniugato col
rigore scientifico.
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