CINEMA, Testi. Anna Karenina al cinema

by Donatella Massara on dicembre 30, 2012

Il nuovo Anna Karenina del 2013 di Joe Wright sceneggiato da Tom Stoppard è interpretato da bravi attori che nel caso di Kira Knightley è riuscita a dare il meglio di sè. Le scelte dello sceneggiatore e del regista sono anzitutto estetiche: niente di questa trasposizione cinematografica di un romanzo è più affidato al realismo. Gli interpreti sono figure ripescate dal nostro immaginario e riscoperte, come disegni in fondo a un baule, sono state spolverate, ridecorate e riaperte dentro alla loro cornice. Un teatro separa i passaggi da una scena a un’altra e su questo palcoscenico avvengono alcuni snodi cruciali che con una cucitura raffinata slittano verso l’ambiente che gli è proprio per continuare a narrarsi. Questa distanza dal realismo, ottiene un effetto di profondità dei sentimenti che difficilmente ritroviamo nei film precedenti soprattutto quello più recente del 1997. Anna Karenina è portata con grande sicurezza dai suoi interpreti fuori e dentro lo schermo a diventare una personaggia moderna, coraggiosa, carica di umanità che attraverso la sua storia appassionata decostruisce un’epoca, mostra i pregiudizi che pesavano sulla vita delle donne, spiega come qualunque donna sottraesse se stessa, come Anna Karenina, alle regole di una falsa morale, ne sarebbe diventata la vittima. Il risultato di questo film è affascinante. C’è tutto il fascino della cultura che emana il suo decor quando riscatta il romanzo anche dove era stato sacrificato nelle precedenti versioni in nome delle convenzioni narrative cinematografiche. La passione di Anna e del suo amante è coinvolgente come un saggio di storia scritto da una grande penna, e finalmente ha un riconoscimento anche quella nobile figura che è Karenin, un uomo buono, obbligato a diventare geloso, quando si accorge del tradimento della moglie e infine che è riportato al perdono ma anche alla sua miseria di uomo del suo tempo che non sa sfidare completamente, che non può riconoscere la libertà della moglie, concedendole il divorzio e il figlio. Gli autori di questo film si rivolgono a un pubblico a cui non è più necessario ridurre una trama ma piuttosto richiamargliela, elaborandone attraverso l’analisi dei motivi fondamentali, la passione come libertà dell’essere, la costrizione mortifera delle regole sociali, il coraggio di Anna, la citazione delle frasi chiave, la riproposizione delle scene fondamentali. La messa in scena mirante a fare risaltare i sentimenti che animano i personaggi si avvale di un’estetica curatissima, di un casting e una recitazione precisi che compiacciono, favorevolmente, chi conosce bene il romanzo di Tolstoj e attrae chi invece non l’ha letto, portando questo pubblico a visualizzare attraverso i suoi personaggi un’epoca. Prevale sicuramente il divertimento, che ci fa stare, senza annoiarsi, dentro al film, e questo è molto positivo, forse gli manca quella parola più forte che coinvolge non solo la mente e il piacere ma anche l’interezza della nostra visione del mondo che il teatro di Ibsen riesce ancora a dare. Lo sceneggiatore ha preso dal romanzo il senso intrecciandolo con la letteralità, Anna dice a Vronski che le leggi sul divorzio sono scritte <<dagli uomini e dai padri>> e mai lei potrà avere con sè suo figlio, avendo abbandonato il marito. Questa giustizia delle donne che avanza, ha disfatto una morale comunemente condivisa per affermarne un’altra che tenesse conto sempre più del punto di vista delle donne avrebbe potuto essere inscenata con maggiore forza, stracciando letteralmente la copertina affascinante dentro cui gli autori l’hanno avvolta e forse anche inevitabilmente ordinata e controllata.

Le versioni cinematografiche del romanzo di Tolstoj sono state varie.  La più nota è stata interpretata da Greta Garbo, una star che fu ammirata, imitata, amata dalle donne etero e dalle lesbiche nel mondo, forse come nessuna prima e dopo di lei. La regia del film del 1935 era di Clarence Brown e la sceneggiatura fu scritta a due mani da Clemence Dane e Salka Viertel, entrambi nati fra il 1888 e il 1889. Salka Viertel fu autrice di molte sceneggiature dei film di Greta Garbo, e non solo, ed era anche una sua cara amica. A Hollywood le sceneggiatrici furono molte mentre le registe erano eccezioni di una regola che vedeva solo uomini dietro la macchina da presa.

Salka Viertel condivideva la sua professione con Anita Loos, Lilian Hellman, Vera Casparay e cento altre (cfr. Piera Detassis, C.Mirabello, Genere femminile. Registe e sceneggiatrici nel cinema classico americano, Taormina Arte, 1988). In Italia le donne parteciparono significativamente alla nascita del cinema. (cfr. a cura di Monica Dall’Asta Non solo dive. Pioniere del cinema italiano, Cineteca di Bologna, 2008). La stessa unica, eccezionale e straordinaria Eleonora Duse, quando smise di recitare, passò anni a vedere film nella sale cinematografiche e uscì da quel periodo con il film Cenere, che, oltre a interpretare, sceneggiò lei medesima ispirandosi al romanzo di Grazia Deledda (cfr. Helen Sheeny, Eleonora Duse, Mondadori, 2006).

Non sono mai stata colpita così tanto dal taglio di una sceneggiatura come riguardando il film di Greta Garbo e confrontandolo con il romanzo di Tolstoj. Nel romanzo Tolstoj come è noto non solo guarda con occhio ammirato le donne, oltre che pietoso, comprensivo e profondo, ma dedica un’attenzione particolare al carattere di Aleksander Karenin, il marito di Anna, che prima si arrabbia, per il tradimento della moglie, anche per il discredito che gli getta addosso, poi perdona e quindi viene abbandonato. Dovrebbe concedere il divorzio, e prima accetta poi lo nega, spinto anche dalla contessa fanatica religiosa che lo ama, alla fine, glielo rifiuta con più decisione. Potrebbe cambiare idea ma non fa in tempo. Ad Anna non importa un bel nulla del divorzio, è presa dal delirio in cui non sa più se Vronski la ami oppure no e si uccide. Karenin viene descritto come un uomo dagli occhi tristi, vuoti e buoni, poco affascinante, poco coraggioso, sempre imbarazzato perchè non sa come comportarsi, se non ostentando lo spessore della carriera e continua a chiedersi se sarebbe bene sfidare a duello Vronski. Anna lo convince a perdonare, così lui si cura della bambina nata dalla relazione della moglie con Vronski. Sarà lui, dopo il suicidio della moglie, a prendersi carico della piccola, mentre Vronski, affranto dal rimorso, parte per la guerra con un battaglione finanziato da lui stesso. Ora da queste poche note, conosciute di certo, viene fuori che Karenin è un personaggio maschile affatto scontato. Salka Viertel di tutto questo non se ne fa nulla. Tracciata la linea riassuntiva che poteva guidare il film rimane che lui era un noioso, che si faceva sempre scricchiolare le dita e a Anna dava fastidio e che le vieta di vedere il figlio. Il punto dolente. E’ vero. Il personaggio cinematografico viene fatto coincidere, levando gli altri snodi del romanzo, pubblicato in Russia nel 1877, con lo stereotipo di maschio contro il quale non può che scontrarsi la vittima. No, non era così nell’immaginario di Tolstoj. Il marito di Sibilla Aleramo, abbandonato dalla moglie le vieta di vedere il figlio, e potrebbe, dalle parole della scrittrice, assomigliare di più a quello stereotipo. Ma restiamo nell’immaginario che è importante. Non è bene che abbiano avuto corso figure sia maschili che femminili dimezzate, scontate, condotte, per ragioni di logica narrativa verso modi obbligati di pensare. In questa politica, dall’immaginario al reale, non salta mai fuori alcuna variante. Gli uomini traditi sono cattivi e le moglie che tradiscono sono delle vittime, e se sono tradite invece, come di solito succede, perchè nell’immaginario comune le donne sono abbandonate più che abbandonanti, ecco che sono vittime lo stesso. L’immaginario serve, non è pura materia di sogni ma ci fa esistere, pensare, ed è meglio che le sue varianti abbiano esistenza proprio quando nella realtà si fa fatica a contarle sulle due mani.

Nel 1997 Bernard Rose riporta sullo schermo Anna Karenina. La sceneggiatura è dello stesso regista. E che sia stata scritta da un uomo e non da una donna è percepibile. Come dice una nota in rete sul Corriere della sera il film ha una “Illustrazione corretta, accademica, ben pettinata, senza impennate, nemmeno nei duetti tra Anna e Vronski, con la cinepresa di Rose, anche sceneggiatore, che tampina da vicino i suoi personaggi, alternando la dinamica dei piani-sequenza con primi e primissimi piani a uso della fruizione in TV o in DVD.” Ma questa volta il risultato, dal punto di vista della sceneggiatura in relazione al romanzo è anche peggiore. Karenin, il marito di Anna, non è neanche più quel personaggio un poco ridicolo che Clarence Brown fa interpretare a Basil Rathbone, un attore schakespeariano abituato ai ruoli del cattivo- raffinato nei film di cappa e spada. James Fox è un altro attore inglese ma molto diverso, fisicamente, corpulento ricorda Rod Steiger alias Komarovsky nel Dottor Zivago e con la stessa foga amatoria si getta su Anna per un tentativo di stupro, quando viene a sapere della sua intenzione di andarsene. Un passo questo completamente inventato dal regista. Karenin non è forse sopportabile per un uomo. Tolstoj lo descrive come un personaggio indefinito, poco virile, ridicolizzato dall’alta società di Pietroburgo per la sua parte di marito tradito, uno che quindi non sa reagire in modo maschio, fino a che la fede, tema caro allo scrittore, gli restituisce le ragioni, per lui, sia della religione che del perdono. Ma quella che in questa nuova versione del grandissimo romanzo tolstojano viene nettamente peggiorata, rispetto alla versione del 1935, è la protagonista, interpretata da Sophie Marceau. Attrice abbastanza brava, bellissima, molto più vicina della Garbo al tipo estetico descritto nel romanzo viene imbruttita dal regista dopo la fuga. Niente di tutto questo scrive Tolstoj che anzi, anche se Anna ha dovuto tagliare i capelli, dopo il parto, per via della febbre puerperale, continua a descriverla come bellissima. Però dice significativamente: “sembra un ragazzo” – come se le scelte che sta per fare le richiedessero di assoggettarsi a una condizione che non è più identificabile con quella femminile. Anna è anche troppo bella per Vronski, dice ancora Tolstoj, quando è sempre più irritato dalla sua gelosia. E allora perchè imbruttirla con dei capelli maltagliati?  Anna Karenina non sottostà a nessun diritto di famiglia per giocarsi con un mondo che non può cambiarla. Abbandona la casa del marito con la passività della disperazione di chi non desidera <<nulla, nulla … soltanto che tutto finisca>>. E’, allora, possibile concedere allo sceneggiatore di fare portare via Anna fra le braccia di Vronski, non però che questa donna abbia abortito la figlia che aspetta dall’amante e soprattutto che poi ne imbocchi un simulacro, una bambola, fingendo che sia una bambina vera. Tutte libere licenze della sceneggiatura che alterano il significato del testo originale. Una vera madre non può uccidersi, dunque, secondo Rose, la figlia non era nata. Invece Tolstoj fa dire a Anna che non ama questa figlia che troppo le ricorda l’amante e che chiaramente non avrebbe voluto nascesse, è quindi in questo retroscena che diventa plausibile la disperazione di Anna che si butta sotto il treno. Ma per il regista evidentemente era troppo difficile da spiegare al pubblico. Molto mi è piaciuta la versione di Anna Karenina diretta da Julien Duvivier, nel 1948. E’ una produzione inglese interpretata da due attori di primo piano della grande tradizione britannica, Vivien Leigh e Ralph Richardson, rispettivamente Anna e Alexej Alexandrovic Karenin, decisamente in ombra è invece Vronski; dell’attore che lo interpreta si sono perse le tracce. La sceneggiatura è stata scritta da Jean Anouihl, oltre che dal regista e da un terzo autore. E’ una lettura fedele al testo, intere frasi sono prese dal romanzo e Alexej è un marito preso dai suoi affari, sconfortato per il tradimento, ma anche buono, pronto a perdonare la moglie. Non però a concederle il divorzio, contrario alla sua conversione religiosa e neppure a ridarle il figlio. Ma anche in questa versione la bambina, che nel romanzo nasce in casa Karenin dalla relazione con Vronski, sparisce. Irrappresentabile, nell’immaginario cinematografico, la fuga dei due amanti a Venezia portandosi dietro una neonata. Ci voleva la penna di Tolstoj per descrivere invece quella situazione che è come la rigenerazione di Anna in un nuovo matrimonio, che è, però, sempre una scelta fatalistica, perchè lei, innamorata di Vronski, rimane legata al primo figlio. Non ama questa bambina che non riuscirà a salvarla. Tuttavia, nel romanzo, è un contenitore importante il nuovo matrimonio, dove la protagonista si esprime in aspetti differenti della sua soggettività, per esempio la scrittura. Comporrà infatti il libro per bambini che non sarà pubblicato, mentre sarà attivamente occupata con la lettura di svariate opere, dalla narrativa, alla poesia, all’architettura. Questa volontà di Tolstoj di fare vedere in Anna Karenina la donna colta, intelligente, intellettuale curiosa, oltre che bella, non ha trovato rilievo in nessuna traduzione cinematografica. E’ affidato all’interpretazione delle attrici fare venire a galla questa personalità complessa del personaggio. E’ una disdetta perchè fa del suicidio una scelta estetizzante. Diversamente è proprio il gioco sottile della sua mente che non sa negarsi nulla di quello che sta fra ragione, intuizione e presentimento a spingerla sempre di più dentro alla voragine del delirio che le rappresenta irrevocabilmente l’amante freddo, lontano e disaffezionato. Ma senza la descrizione di una donna molto attenta ai disegni della mente, sensibile alla scrittura, al pensiero, alla analisi intellettuale, capace di vedere in se stessa anche il disamore per la figlia bambina, il suo suicidio diventa un gesto gratuito. E anche la raffinata sceneggiatura di J. Anouhil non lo esonera dall’affidarsi alla fama letteraria del personaggio che senza essere attentamente spiegato corre verso la sua fine che è anche ovviamente la fine del film. Non è quella del romanzo, che prosegue fino a portare Vronski in guerra e Aleksej Karenin a farsi carico della bambina, due personaggi, maschili che ritornano a essere fedeli al proprio ruolo, il marito e l’amante, attori di una rappresentazione sociale che stava descrivendo i primi tratti di rottura, contrastata da figure di donne, non conciliate con l’esistente, uscite dalla penna di autori e non di autrici, come Nora, di Casa di bambola di Ibsen, contemporanea di Anna Karenina. Nel 1869 J.Stuart Mill influenzato dalle idee della moglie la femminista Harriet Taylor aveva pubblicato The subjection of women, tradotto in italiano da Anna Maria Mozzoni nel 1870.