LIBRI, Recensioni, Charlotte Link, L’ospite sconosciuto, Tea, 2010

by Donatella Massara on ottobre 21, 2013

Ho letto in questi giorni L’ospite sconosciuto, Tea, (2005 1°, tr. it. 2010) di Charlotte Link scrittrice tedesca con 20 milioni di libri venduti solo in Germania. Mando i miei complimenti all’autrice che ha un ritmo narrativo invidiabile e riesce a tenere attenta chi legge, a volte, riuscendo pure a comparteciparci in tematiche non di poco conto. In questo caso le violenze subite durante l’infanzia. I suoi gialli sono definiti psico-thriller. Ora non sta a me fare una critica letteraria. Avevo appena finito di rileggere La signora Dalloway di Virginia Woolf e non ho smesso di leggere il romanzo di Link alle prime pagine, sono arrivata volontariamente consegnata al plot narrativo fino all’ultima pagina.

Molto per affetto, amicizia e interesse personale, no non verso la Link, che con 50 anni ha 20 romanzi scritti. I buoni sentimenti miei che hanno sostenuto la mia lettura erano e sono rivolti all’amica che me lo ha passato dicendomi mi è piaciuto tanto e non la conoscevo poi ho letto tutti i suoi libri. E’ stata una bella occasione, allora, per addentrarmi in una narrazione che non avrei da sola mai scelto. E di pensare all’amica. Chiedendomi che cosa le piace, dunque? Neanch’io conoscevo se non vagamente Charlotte Link. E affermo che è tutt’altro che autrice di “poco spessore”, accidenti se non lo è, quante considerazioni fra me e me facevo mentre leggevo, infastidita poi dico da che ma pur lo stesso attenta. Con il finale tutte le considerazioni serie plof sparite, l’assassino non è quello che ci si aspetta ma un altro nascosto dietro a quello che ci si aspetta invece innocente, un poco ma non del tutto. No non del tutto non è stato lui a avere massacrato i genitori adottivi ma mentre si arriva alla verità picchia, lega, sbatte di qui e di là la moglie e l’altra donna-chiave del romanzo. I genitori affidatari gliene avevano fatte di ogni colore. Eh sì i tedeschi – viene da dire – hanno sempre quella fissazione di fare subire orrori a qualcuno che non può tanto ribellarsi, soprattutto se sono di classe elevata e irreprensibile allo sguardo. I tedeschi non come sostantivo generico ma sessualmente riferito. Qui infatti sono gli uomini inesorabilmente negativi, le donne però subiscono, non si ribellano mai, né sono capaci di prendere alcuna posizione in proprio. Al massimo si separano: legalmente. Viene da seguirla sul serio questa autrice se non ci si chiedesse alla fine: ma no Link ha solo scherzato. Il male sta in uno che è pazzo completo non solo disturbato proprio fuori dalla grazia di dio, massacratore e alla fine suicida. Tranquille signore, le vere vittime i bambini che non possono ribellarsi quelli rimangono vittime, e saranno solo quelli che da grandi tenteranno di accoppare la moglie. Ecco chi sono i possibili femminicidi. Interessante. Io ci avevo creduto che fosse quello il tema, forte. Invece no. Sfugge in un bel finale assurdo che ci fa dimenticare tutto il resto. Ma perchè? Non valeva la pena andare un poco più a fondo del proprio personaggio? Capire le ragioni delle donne ? Perchè la moglie e l’altra signora coinvolta nell’infanzia dell’aspirante femminicida non riuscito lo perdonano, hanno pietà di lui, lo capiscono benchè le abbia sequestrate, tenute legate, picchiate e lasciate senza acqua né cibo per due giorni? Hanno scoperto che lui non aveva massacrato e torturato i due ex affidatari ma voleva solo “parlare” a chi era stata in vario modo responsabile della sua infanzia. Scoperto che il povero marito era abbastanza innocente, la moglie zoppicante, con un orecchio che non ci sente, con difficoltà di deambulazione, un occhio livido e non so che altro decide ovviamente di non denunciarlo, ci manca solo questo dopo quello che ha subito! L’altra, la signora coinvolta, anche lei subisce sequestro, attraversa il terrore di essere sicuramente uccisa, non beve e non mangia per due giorni con un fazzoletto in bocca per ore così che non riesce a respirare se non rantolando ma non se ne parla di denunciarlo. Entrerà in un programma di recupero. Ma va bene. No non lo denunciano anzi lo curano, però la moglie chiede la separazione. No non è così semplice. Lisbeth Salander si vendica con puntigliosa capacità di strategia, fin troppo, forse ma comunque che bella capacità di divertimento hanno avuto la coppia Stig Larsson Eva Gabrielsson. Che raffinata gioia di narrare, risultato di una grande fatica, ha la capacità di trasmettere la Kate Fansler di Amanda Cross alias di Caroline Heilbrun. Charlotte Link ha invece a disposizione queste fatine bene educate, gentili, innamorate, depresse e magnanime che in una casistica di coppie che si intercalano sulla scena del romanzo, subiscono mariti impossibili, violenti, pieni di odio per la moglie, iracondi fino a torturare un bambino, oppure imbecilli, se non falsi fino al limite della personalità multipla e efferati assassini. Questo quadretto desolante del sesso femminile si colloca in uno scenario urbano dove non ci sono amicizie possibili, appena da un’alleanza fra la moglie e l’altra signora intravedo da lontano qualcosa di nuovo, che potrebbe indicare qualche senso del vivere e mostrare cosa le donne sono nell’esperienza del mondo che c’è. Le donne non sono capaci di prendere posizione quando vengono a sapere che un bambino sta forse subendo maltrattamenti, poi diventano madri irreprensibili oppure subiscono il marito in quanto vittime, di natura, appunto, rappresentanti di un sesso femminile, incapace di fare alcunchè anche di alzare la voce perchè un’altra verità esca fuori. Questo è l’immaginario mainstreaming. Dunque. E sono delusa per avere visto da vicino che l’universo simbolico di una donna di successo dopo decenni di femminismo è così desolato, inconcludente, purtroppo intelligente e allo stesso tempo, fermato su stereotipi superficiali, mi viene da dire da commissione di pari opportunità o forse addirittura prima che ci si ponesse anche solo l’idea dell’uguaglianza fra i sessi, confinata invece in una differenza arida, fasulla, di una naturalezza stantia che non sa vedere cosa il sesso femminile descrive nella vita di ogni giorno dentro la cellula sociale fondante che è tuttora la famiglia. E fuori di lì è anche peggio: c’è la pazzia allo stato perverso.