Ricordo
di avere letto una bella riflessione nelle pagine on line di Laboratorio
Immagine Donna.
In quel pezzo chi scriveva annotava che il cinema delle donne non parla
più d'amore fra i sessi. L'amore è sparito inghiottito
dalle guerre, dalla violenza, dal gelo divampante fra donne e uomini.
Guardando Red
Road il film di Andrea Arnold (2006) che ha vinto il premio
della giuria a Cannes mi è venuto da pensare a quella interpretazione
e a inserire questa prima prova di una regista in coda a una serie
di film femminili che si svolgono intorno a questa empasse, che è
liberatoria e mai conclusa. Prima di Red Road ci sono
stati Il vestito da
sposa du Fiorella
Infascelli, La vita segreta delle parole di Isabel
Coixet, Il
segreto di Esma di
Jasmila Zbanic. E forse potrebbe starci anche La bestia
nel cuore di Cristina Comencini ma non lo metterei in questa
parabola. Tutti e quattro - in modo più forte di altri film
di donne - parlano di una relazione femminile con l'uomo che passa
attraverso la violenza e la fronteggia. Le protagoniste sono in un
primo momento frastornate, abbagliate, quindi rinate. Mi fanno venire
in mente la caverna platonica dalla quale, chi incatenata verso l'ombre
delle cose esce liberata, è in un primo momento abbagliata
dalla luce del sole e solo dopo qualche istante vede il mondo nella
sua realtà illuminata - nel mito platonico - dalla luce del
bene.
Da che cosa sia
invece illuminata la realtà che vede Jackie la protagonista
di Red Road non è perfettamente chiaro. Occorre
tentare di analizzare il film se si vuole in qualche modo restituirgli
qualcosa, un senso corrispondente a quello degli altri film delle
donne.
In breve per gli
altri film: Il vestito da sposa racconta una violenza subita
da una giovane donna che sta per sposarsi. Ritrova l'amore con uno
dei suoi violentatori che lei non può riconoscere. Alla fine
lui muore investito da un camion sotto i suoi occhi sbalorditi che
l'hanno riconosciuto. In La vita segreta delle parole una giovane
donna è passata attraverso le torture della guerra a Sarajevo
è stata nei famigerati campi degli stupri etnci e si ritrova
a curare un americano coperto di ustioni temporaneamente cieco ed
ex-soldato Nato che potrebbe essere stato uno dei suoi nemici. Alla
fine lui la va cercare si sposano, hanno figli. Lei quand'è
sola continua a inseguire con gli occhi della fantasia una bambina,
forse una figlia abbandonata negli anni della guerra, forse lei stessa
bambina, forse una icona che la tiene come sospesa nella realtà.
In Il segreto di Esma la protagonista bosniaca ha dato alla
luce e allevato la bambina avuta dopo uno stupro di guerra da parte
di un serbo. La ragazzina non sa di chi è figlia ma la madre
è costretta rivelarglielo. Esma ama la figlia più di
se stessa e cerca di tenere sotto controllo tutti i suoi istinti distruttivi,
anche con l'aiuto di altre donne, ma fra le due si apre un conflitto
terribile. Alla fine madre e figlia si allontanano per la prima volta,
la ragazzina va in gita con la nuova consapevolezza di non essere
quella che pensava di essere, ma un saluto da lontano è la
promessa di un domani migliore e la conferma che c'è fra loro
amore.
Red Road capovolge ancora tutti questi significati, qui lui
ha offeso la protagonista guidando sotto crack un mezzo che investì
e uccise suo marito e la sua bambina. Lui però non la riconosce,
non l'ha mai guardata in faccia durante il processo e quando gli si
presenta e finiscono per avere un solo rapporto sessuale eroticamente
molto intenso non sa con chi ha a che fare. Non può prevedere
che lei simulerà uno stupro, forse rischiando di restare veramente
incinta e lo denuncerà.
In questo film inglese la desolazione è ancora più accentuata
che negli altri film. Non c'è rischio di commuoversi. Il film
si svolge in massima parte a fianco della protagonista che passa il
suo tempo a fare la poliziotta sorvegliando la città attraverso
una ventina di monitor. Quest'occhio femminile supervisore vede senza
essere visto, per mestiere cerca di conservare il mondo. Il problema
aperto è se fa anche giustizia. Se una donna che ha in mano
il mondo, quello di Glasgow in questo caso, è capace di operare
con giustizia. A me è sembrato questo l'interrogativo del film.
Jackie infatti a un certo punto esce dalla sua visione del mondo per
entrare parzialmente in quella di un altro. E qui si fa giudice di
se stessa e di un altro. Dopo avere visto - dal suo punto di osservazione
- l'ultima persona che desiderava vedere, e che è libera e
in giro per le strade, le va vicino, infine ritrova se stessa e fa
giustizia, accettando poi il mondo così come va. Ma prima di
questo epilogo è costretta a passare per l'abnormità,
per lo sconvolgimento di tutti i criteri di giustizia perché
è lei chiusa in una stanza a osservare il mondo e l'altro,
il colpevole, è il mondo, il suo mondo, quello che occupa la
sua visione. La passione vendicativa la obbliga a non sottrarlo dal
suo spazio visivo perchè le ha distrutto la vita, la sua prima
vita.
Lei con la sua
divisa da poliziotta, la cravatta e l'aria da ragazzina struccata
insegue attraverso i monitor la gente che vede nelle strade e la guarda
con occhio vigile, anche intenerito, malinconico. Le cose che individua
come sospette, per esempio un uomo che nella notte insegue una donna,
ravvicinate rivelano di essere in realtà comuni incontri sessuali.
Il suo intuito però non la tradisce del tutto, anche nella
presunta normalità c'è qualcosa di sospetto. Quell'uomo
che non è un violentatore è il colpevole che ha ucciso
la sua famiglia, uscito di prigione per buona condotta. E' il primo
monito. Lo guarda ed è intollerabile per lei scoprire che sta
facendo una vita normale, sta tentando di liberarsi del passato e
che vorrebbe anche avere una vita benedetta dal sorriso.
Non siamo mai
coinvolte dentro a questo film e ci vuole anche una certa pazienza
per non abbandonare Jackie al suo destino. Direi che la regista ce
la mette tutta per non farci entrare nel film a emozionarci troppo.
E non lascia fuori neanche l'umorismo. Immagino che tutti si siano
accorti della scena in cui scannerizza la foto dell'uomo per farla
vedere a un collega e per una frazione di secondo vediamo un'immagine
stampata sul foglio che ricorda molto quella di Shakespeare. E' il
ritratto con il naso sottile e la fronte ampia e spaziosa per la calvizie
del grande inglese, l'unica esistente. E' un appello, come se dicesse:
se lo vedete ancora in giro fatemelo sapere, intanto ci sono io ?
Prendendo quindi per buona la versione dell'amore fra i sessi che
ci dà Andrea Arnold passiamo al secondo stimolo ricevuto da
Jackie costretta a buttarsi in mezzo alle strade e affrontare le cose
direttamente. Senza la divisa della poliziotta, priva del monitor
che può ingrandire le immagini e avvicinare alla vista le distanze
troverà la giustizia e capirà cosa desidera.
Prima di questo passo giunge un altro monito. Mentre insegue sui monitor
l'uomo, vede sul ciglio di una strada un accoltellamento. La vittima
è una ragazzina, forse una studentessa e le altre che l'hanno
accoltellata sono tre ragazze probabilmente anche loro minorenni studenti
della scuola vicina. Non è riuscita a identificarle perché
stava anche guardando l'uomo. La sua giustizia ha fallito. Lei sorveglia,
viene in soccorso ma non è in grado di punire. E' questa scoperta,
la sconfitta, il non essere stata completamente all'altezza della
situazione, intervenendo solo per metà chiamando i soccorsi
senza fotografare le colpevoli che la spinge in strada. Sulla scena
compare il colore rosso, l'avevamo già visto il rosso nelle
scene precedenti sulle mani coperte di sangue della ragazzina ferita.
L'avevano colpita quasi vicina al cuore. Jackie arriva a Red Road
dove vive l'uomo. E' rosso anche il bidone della spazzatura, rosse
sono le l striscie di colore che colorano in lungo il palazzone di
25 e più piani, rossa è una struttura metallica dove
si possono attaccare le moto, a esagoni rossi è il pallone
con cui giocherellava lui quando lei lo scopre in giro per la strada,
un'immagine insopportabile. Sarà rossa anche la luce della
stanza nella casa dell'uomo dove andrà Jackie infilandosi nella
festicciola. Una scena molto bella dove la regista anche questa volta
riesce a comunicare la temperie di sentimenti che attraversano Jackie.
Non ci sono flash back, non ci sono atteggiamenti recitati, non ci
sono neppure grandi parole, c'è solo musica, una luce scadente
ottenuta schermando le lampade, lo squallore di un appartamento per
ex-detenuti e i corpi vicini che ballano lentamente. Come fare giustizia
? Rimane aperto il caso. Quando ritroverà al pub l'uomo e il
ragazzo suo amico, la scena dell'alterco le farà vedere ancora
realtà che non sono come a prima vista le capiamo. E' un altro
monito per Jackie. L'uomo con cui il ragazzo litiga fino a che sembra
volerlo uccidere dirà: <<E' il mio vecchio>>. Ci
lascia incredule la regista senza mai forzare la mano con scene che
escano dal tessuto di una apparenza di quotidianità.
Purtroppo dopo questa parte il film scorre in maniera decisamente
più banale. A mio parere. Jackie e l'uomo finiscono a letto
insieme, la scena è lunga e molto realista, c'è il piacere
erotico di lei che centralizza gli sguardi e segue la già raccontata
simulazione dello stupro. La giustizia la farà ritirando la
denuncia, riconoscendo l'ingiustizia di attribuirgli una colpa che
l'uomo non aveva. Si sente lei in colpa per averlo denunciato quando
vede arrivare a casa di lui una sua probabile figlia. (E se fosse
stato senza figli lo lasciava in galera?). A dire la verità
dopo di lì non c'è più molto da analizzare. Il
passaggio per il rovesciamento delle conclusioni è saltato,
non c'è più la sfida al senso ovvio del giusto e dell'ingiusto,
non c'è più approfondimento di cosa significhi sentirsi
più vicine/i al bisogno di continuare a vivere che non al proprio
lutto.
Alla fine lei
ritorna dai suoceri, riconosce di volergli bene, accetta di portargli
le ceneri del figlio e della bambina che teneva custodite in casa
sua, come se fosse solo lei a avere la necessità di tenerseli
vicini. Come se solo lei ne avesse avuto il disperato bisogno. Una
scena questa che ricorda Under the
skin un altro film famoso di una regista inglese Carine
Adler.
Jackie si riconcilia quindi con se stessa passando attraverso un'uscita
da sé, fino al contatto con il suo nemico assoluto, chi le
ha distrutto la vita. E' costretta a entrare nel suo punto di vista.
Rinasce a un'altra vita solo nel momento in cui in lei stessa ne è
stata una parte attiva, quando ha raggiunto il punto limite della
confusione dove fra bene e male non c'è più la soglia
dell'estraneità. L'alterità non è sparita ma
messa periocolosamente in bilico lungo un crinale dove forse sparirebbe
la differenza fra sè e l'altro, fra l'essere uomini e l'essere
donne, fra l'essere in vita e non l'esserlo. Siamo in una società
dove neanche più le relazioni fra donne sono il segnale confortante.
E niente c'è di religione. C'è però la giustizia
femminile, quella fondamentale onestà del vivere, che nel vedere
le cose direttamente e senza ideologie, senza preoccupazioni di salvare
l'amore di sé e dei propri principi, le donne sanno fare valere,
politicamente sole e padrone di sé, vanno e vengono, sapendosi
anche tirare indietro senza paura di perderne in coerenza.
Non è
un film che può piacere molto a me che amo l'immagine-storia
nei film delle registe. In questo film di storico non c'è niente.
Non ci sono immagini che la conservino, c'è una finzione che
svolge il senso di una possibilità, se è verosimile
o no non mi interessa discuterlo. Non ha, però, nessuna valenza
per un pensiero della storia delle donne, non segnala niente di avvenuto,
o potenzialmente tale perché anche se ci fosse 'un già
stato' simile, sarebbe del tutto privo di spessore storico, al massimo
ci posso vedere la rappresentazione del potere femminile esercitato
bene, tenendo insieme passione, affetto, pulsioni e ragione non molta.
Quindi il senso del reale in questo film lascia il posto decisamente
alla finzione, all'obbligo di fare film, di fare spettacolo e non
scomoda molto della nostra capacità di relazionarci ai problemi,
esercitando la ragione, anche su fatti inventati però storici
perchè sono nel tempo immessi nella dimensione della politica.
Jackie invece fa politica come una monade solitaria a cui tutto è
permesso. E' predisposta a essere una figura solitaria perchè
è questa la sua 'anima' circondata dai suoi monitor nella stanza
dove è sola fino a che non ha finito il suo turno di guardia.
E' una figura della finzione inutile alla scena della storia delle
donne se non si decide di farcela entrare per scelta, analisi, tattica
ma in realtà è del tutto scorporata dal tessuto relazionale,
sociale, contestuale delle donne. Ci dà la parola questo sì
su questioni di etica, come dire, confermandoci la capacità
delle donne di esercitare saggiamente giustizia.