Donne e conoscenza storica
         

 

 

La biografia di Sabina Spielrein

 

 

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Il film-documentario di Elizabeth Martòn, My name was Sabina Spielrein, 2002, vers. ingl

di Donatella Massara

 

Per ora non visibile in Italia, ho potuto visionare il film in videocassetta per gentile interessamento della distributrice Charlotta Bjuvman di Telepicture Marketing.
Dopo avere visto il film di R. Faenza questo documentario che ricostruisce la vita di Sabina Spielrein, usando fedelmente i documenti storici, ha rinnovato in me un più forte interesse sull' esistenza della protagonista. Il film, aperto alla possibilità di interpretazione, mette in evidenza i legami di Sabina con la sua famiglia; le aspettative che i genitori avevano verso la sua carriera medica. Nonostante la malattia mentale Sabina, guarita, studia sola a Zurigo, e i genitori sperano - come dice una lettera - che lei diventi una nuova Maria Curie. Anche la confidenza e la felicità con cui racconta alla madre del suo innamoramento per Jung sottolinea una relazione con la madre non comune. Attraverso la ricostruzione della regista, Sabina è in primis la studiosa che vuole riuscire e che pensa ai suoi esami e alla laurea, la relazione con Jung è analizzata insieme al triangolo creatosi quando Freud entra in gioco, interpellato da Jung; emerge l'interessamento che lo psicoanalista svizzero aveva per Sabina, per la sua salute mentale, durante il ricovero, e poi l'affetto che li legava, documentato anche nelle lettere. Risalta il desiderio di Sabina di dedicarsi a scelte e imprese straordinarie.

Con molta sobrietà il film rappresenta anche gli aspetti meno decodificati della vita della psicoanalista. Per esempio il sogno dove il nonno rabbino le diceva che era chiamata a compiti eccezionali. Questa tensione a sublimare e battersi per le idee grandi ricorre nel diario di Sabina e anche nelle lettere con cui tenta di spiegarsi e raccontarsi a Freud e a Jung. La relazione con il suo maestro e medico probabilmente si può trasferire in questo profondo desiderio di dare il meglio di sè. Non sono dissociabili in Sabina - come donna - la creatività intellettuale e materna, identificabile anche nella forte tensione verso Sigfrido, il figlio del sogno e della fantasia che la lega a Jung.(cfr.in Biografia di S.S.)

Il film segue tutta la vita di Sabina Spielrein, usando l'immagine di un'attrice, la ricerca iconografica, e le frasi delle lettere e del diario accompagnano lo svolgimento del documentario. Questo film molto interessante e completo sollecita a approfondire la figura di Sabina Spielrein.

A proposito di questo film, e non solo, dice Luciano Mecacci, che si era occupato anche in precedenti studi del caso Spielrein:

<<Infine vi sono due film: il primo (Ich hiess Sabina Spielrein [Mi chiamavo Sabina Spielrein] della regista svedese Elisabeth Martòn), uscito nel 2002, ha una impostazione di fedele ricostruzione storica; il secondo (Prendimi l’anima del regista Roberto Faenza), uscito nel 2003, si concede alcune libertà artistiche e su alcuni punti suscita alcune perplessità: l’assenza della fondamentale figura di Sigmund Freud nella storia sentimentale tra la Spielrein e Jung, la banalizzazione di Eugen Bleuler, direttore dell’Ospedale Burghözli di Zurigo (Bleuler fu tutt’altro che distaccato nei suoi rapporti con i pazienti, come ricorda Ellenberger [7]; e fu proprio lui a incoraggiare la Spielrein a intraprendere la carriera di psicoanalista), e infine la ricostruzione dell’ambiente dell’Asilo che non è rappresentabile come un’esperienza semiclandestina praticata in un futuro rudere (l’Asilo è tuttora visitabile a Mosca ed è perfettamente conservato, essendo divenuto poi la dimora dello scrittore M. Gorki: uno splendido edificio considerato l’esempio dell’Art Nouveau russa>>

Il giudizio sul film di Roberto Faenza è ampiamente condivisibile. E' una finzione esagerata dedicata per lo più alle passioni, e inoltre -come ha dichiarato lo stesso regista- il film ha voluto fare parlare una "vittima"; in altre parole non era previsto nel film di dare a Sabina Spielrein la definizione che più le spetta, di riconoscerle i desideri e i pensieri di cui ha scritto e per cui ha lottato. Tuttavia a alcune il film di Faenza è piaciuto. Contestualizzandolo dopo avere visto il film della Martòn o l'opera teatrale di Maria Inversi anche questo film potrebbe essere usato nella cinema therapy. E' proposto in questa chiave in una ricerca recente. (vai a Psico film - Approfondimenti)
http://salute.virgilio.it/extra/021/

Ringrazio Mara Montesano per l'aiuto nella traduzione simultanea del film.