di Donatella Massara
Per ora non visibile
in Italia, ho potuto visionare il film in videocassetta per gentile
interessamento della distributrice Charlotta Bjuvman di Telepicture
Marketing.
Dopo avere visto il film di R. Faenza questo documentario che ricostruisce
la vita di Sabina Spielrein, usando fedelmente i documenti storici,
ha rinnovato in me un più forte interesse sull' esistenza della
protagonista. Il film, aperto alla possibilità di interpretazione,
mette in evidenza i legami di Sabina con la sua famiglia; le aspettative
che i genitori avevano verso la sua carriera medica. Nonostante la
malattia mentale Sabina, guarita, studia sola a Zurigo, e i genitori
sperano - come dice una lettera - che lei diventi una nuova Maria
Curie. Anche la confidenza e la felicità con cui racconta alla
madre del suo innamoramento per Jung sottolinea una relazione con
la madre non comune. Attraverso la ricostruzione della regista, Sabina
è in primis la studiosa che vuole riuscire e che pensa
ai suoi esami e alla laurea, la relazione con Jung è analizzata
insieme al triangolo creatosi quando Freud entra in gioco, interpellato
da Jung; emerge l'interessamento che lo psicoanalista svizzero aveva
per Sabina, per la sua salute mentale, durante il ricovero, e poi
l'affetto che li legava, documentato anche nelle lettere. Risalta
il desiderio di Sabina di dedicarsi a scelte e imprese straordinarie.
Con molta sobrietà
il film rappresenta anche gli aspetti meno decodificati della vita
della psicoanalista. Per esempio il sogno dove il nonno rabbino le
diceva che era chiamata a compiti eccezionali. Questa tensione a sublimare
e battersi per le idee grandi ricorre nel diario di Sabina e anche
nelle lettere con cui tenta di spiegarsi e raccontarsi a Freud e a
Jung. La relazione con il suo maestro e medico probabilmente si può
trasferire in questo profondo desiderio di dare il meglio di sè.
Non sono dissociabili in Sabina - come donna - la creatività
intellettuale e materna, identificabile anche nella forte tensione
verso Sigfrido, il figlio del sogno e della fantasia che la lega a
Jung.(cfr.in Biografia di S.S.)
Il film segue
tutta la vita di Sabina Spielrein, usando l'immagine di un'attrice,
la ricerca iconografica, e le frasi delle lettere e del diario accompagnano
lo svolgimento del documentario. Questo film molto interessante e
completo sollecita a approfondire la figura di Sabina Spielrein.
A proposito di
questo film, e non solo, dice Luciano
Mecacci, che si era occupato anche in precedenti studi del caso
Spielrein:
<<Infine
vi sono due film: il primo (Ich hiess Sabina Spielrein [Mi chiamavo
Sabina Spielrein] della regista svedese Elisabeth Martòn),
uscito nel 2002, ha una impostazione di fedele ricostruzione storica;
il secondo (Prendimi lanima del regista Roberto Faenza),
uscito nel 2003, si concede alcune libertà artistiche e su
alcuni punti suscita alcune perplessità: lassenza della
fondamentale figura di Sigmund Freud nella storia sentimentale tra
la Spielrein e Jung, la banalizzazione di Eugen Bleuler, direttore
dellOspedale Burghözli di Zurigo (Bleuler fu tuttaltro
che distaccato nei suoi rapporti con i pazienti, come ricorda Ellenberger
[7]; e fu proprio lui a incoraggiare la Spielrein a intraprendere
la carriera di psicoanalista), e infine la ricostruzione dellambiente
dellAsilo che non è rappresentabile come unesperienza
semiclandestina praticata in un futuro rudere (lAsilo è
tuttora visitabile a Mosca ed è perfettamente conservato, essendo
divenuto poi la dimora dello scrittore M. Gorki: uno splendido edificio
considerato lesempio dellArt Nouveau russa>>
Il giudizio sul
film di Roberto Faenza è ampiamente condivisibile. E' una finzione
esagerata dedicata per lo più alle passioni, e inoltre -come
ha dichiarato lo stesso regista- il film ha voluto fare parlare una
"vittima"; in altre parole non era previsto nel film di
dare a Sabina Spielrein la definizione che più le spetta, di
riconoscerle i desideri e i pensieri di cui ha scritto e per cui ha
lottato. Tuttavia a alcune il film di Faenza è piaciuto. Contestualizzandolo
dopo avere visto il film della Martòn
o l'opera teatrale di Maria Inversi
anche questo film potrebbe essere usato nella cinema therapy.
E' proposto in questa chiave in una ricerca recente. (vai a Psico
film - Approfondimenti)
http://salute.virgilio.it/extra/021/
Ringrazio Mara
Montesano per l'aiuto nella traduzione simultanea del film.